La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore (Osea 2,16). Così parla il Signore al suo popolo, figurandoselo come sua sposa. Condurre nel deserto e parlare al cuore appare come un’antinomia: il primo è un luogo di solitudine, aspro, dove la vita è difficile, scomoda, financo a rischio. Il secondo è un atto di dolcezza, di intimità, di amore: come possono stare insieme? Eppure lì avviene l’incontro, lì è possibile ascoltare Dio, sentire la sua presenza, essere formati alla fede. Il deserto dove il popolo ha peregrinato a lungo è scuola di vita: insegna a vivere dell’essenziale, a non sentirsi autosufficienti ma bisognosi gli uni degli altri, a scoprire che ognuno è importante, a sentirsi comunità, a conoscere la falsità degli idoli e cosa è veramente importante. Soprattutto non è vuoto: vi è presente Dio.
Carissimi, le nostre città sono diventate deserte, silenziose, con le strade vuote e il distanziamento sociale a sigillare l’isolamento che ci prova. Anche noi siamo adesso alla dura scuola del deserto, con la possibilità però di scoprire la dolcezza di Dio che parla al cuore. Il silenzio, che in genere cerchiamo di fuggire, ci costringe adesso a guardarlo dritto in faccia, scoprendo che non è poi quel mostro che pensavamo. Esso ci permette, se lo vogliamo, di percepire più distintamente la presenza del Signore. Egli è nel silenzio e la sua voce è un sussurro di brezza leggera (1Re 19,12), che ti raggiunge quando ti metti al suo cospetto con un atto di volontà e rivolgi a Lui il tuo pensiero, o quando apri il vangelo e leggi una frase. È il primo augurio che vi rivolgo carissimi: possiate sentire la presenza di Dio nell’attuale situazione di deserto e in Lui trovare consolazione. Vi ricordate? Abbiamo iniziato la Quaresima celebrando la liturgia penitenziale diocesana con le confessioni in cattedrale, era il 1 marzo.
È stato l’ultimo momento comunitario della nostra Chiesa, poi è iniziato il digiuno eucaristico. Il virus ci ha colti mentre ci eravamo appena muniti degli strumenti spirituali necessari per intraprendere il cammino di conversione e di purificazione (le Ceneri sono state il 26 febbraio). Questo forse ci ha aiutato a non distrarci dalla fede ma piuttosto a domandarci: cosa ci vuole dire il Signore? Questa è la prima domanda che il credente si fa. La seconda è: cosa dobbiamo imparare? In mezzo a tante preoccupazioni, ognuno di fatto sta raccogliendo suggerimenti preziosi per il dopo-coronavirus, quando potremo rimodellare almeno qualcosa del nostro modo di vivere secondo quanto abbiamo visto di buono e di giusto, così da non rendere vani i sacrifici fatti. Se è vero che questo è un tempo difficile, non è certamente un tempo perso. Stiamo riscoprendo cose dimenticate eppure davvero importanti, come quelle del deserto che abbiamo ricordato.
Non ci spaventiamo e non ci abbattiamo se celebreremo il Triduo Pasquale a porte chiuse. Abbiamo pregato il Signore perché non ci faccia perire (spiritualmente) nel deserto, per via della mancanza della comunione eucaristica. Ed Egli lo farà, il suo braccio non si è accorciato (Num 11,23) e ci sosterrà con la sua grazia. State tranquilli, il Signore vi porrà nel Suo cuore e vi custodirà. Vi darà la Sua grazie e vi soccorrerà. Parlerà al vostro cuore. Da parte nostra offriamo a Lui questo sacrificio (certi che ce ne tornerà in bene) e pensiamo a coloro che sono stati particolarmente colpiti dalla sofferenza, ai tanti lutti nella nostra Italia, a chi è solo, povero, malato, scoraggiato. Ricordiamoli mentre in questi giorni guardiamo Gesù salire il Calvario e caricarsi dei nostri dolori.
Egli ha conferito alla sofferenza umana una straordinaria fecondità di bene spirituale (ci ha salvati attraverso il dolore) e perciò anche sociale, e se umanamente fatichiamo a capirne il senso, sappiamo che nella misteriosa Provvidenza di Dio dopo il Venerdì Santo nessun dolore dell’uomo sarà mai inutile, bensì seme di grazia per il maggior bene di tutti. Il peggior lutto della storia dell’umanità, la morte e sepoltura del Figlio di Dio, autore della vita e causa di tutto ciò che esiste, si è risolto nella più grande grazia che sia mai stata fatta all’umanità: la gioia eterna in Paradiso.
Per questo siamo certi che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore. Cristo è Risorto! Alleluia!
+ Stefano Manetti, vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza