Omelia nella festa di san Roberto Bellarmino – 17 settembre 2021

17-09-2021

La nota della santità, caratteristica soltanto della Chiesa, risplendette luminosamente nel Servo di Dio, Roberto Bellarmino della Compagnia di Gesù. Virtù contrastanti erano unite così armoniosamente nella sua anima: franchezza e prudenza, nobiltà della mente e povertà religiosa coltivata assiduamente. Fu serio e allegro, instancabile nello studio e dedito alla pietà, zelo instancabile come gesuita e incessante diligenza nella ricerca della scienza e la più grande prontezza per ogni ufficio di carità e di bontà, tutto finalizzato alla gloria di Dio e al bene del prossimo. Da Cardinale fu conosciuto per la modestia singolare, frugalità e religiosa austerità di vita, per il disprezzo delle ricchezze terrene e la sconfinata carità verso i poveri… La corona della sua santità tuttavia era il suo bruciante amore alla Chiesa: il suo cuore non aveva nulla di più caro che la gloria della Chiesa…niente desiderò tanto quanto la santità di ciascuno e di tutti i suoi figli.                                                                                  

Con queste parole il Maestro Generale dei Domenicani, nel 1714 chiese a Clemente XI la Beatificazione di Roberto Bellarmino.

Davvero le virtù con cui il Signore ha arricchito l’anima di questo suo servo sono mirabili, come abbiamo pregato nella colletta, e il dono della scienza ne ha fatto un Doctor optime ecclesiae sanctae lumen (davvero lampada della santa Chiesa!).

Il formidabile ed efficacissimo controversista i cui scritti sono rimasti “la più completa difesa della fede cattolica fino al Concilio Vaticano I”, quindi per quasi tre secoli, in che modo ha difeso e custodito l’integrità della fede?

Certamente per l’illuminata e acuta intelligenza, nutrita dall’intenso e vasto studio su cui si è cimentato fin dall’adolescenza; certo per lo straordinario coraggio e l’ampia generosità con cui si faceva carico, senza mai scansarlo, di ogni attacco sferrato alla dottrina cattolica, e non c’era questione eretica nell’ Europa del suo tempo che egli non avesse esaminato e risolto con  sapienza teologica, mai con animo aspro o polemico, bensì pacificato e gentile sempre, anche verso i nemici, benché talvolta sapesse rispondere a tono, grazie alla sua indole buona e mite ma anche decisa e concreta. Tutto vero ma, mi sembra di poter dire, non siamo ancora giunti a cogliere il centro, il nucleo da cui scaturisce l’eccezionale fecondità e il grande successo della sua azione di “campione della causa cattolica del suo tempo”.

Mi pare che, al riguardo, il segreto di San Roberto sia consistito nell’aver custodito integra in sé stesso, con eroico zelo, la fiamma vivificante quella stessa fede che difendeva: è la fiamma ardente della carità, essendo la fede cristiana fede nell’Amore e tenendosi in vita tale fede per mezzo della carità.  Insomma: egli ha difeso la fede alimentandola incessantemente con l’amore.   

Davvero “la corona della sua santità è il suo bruciante amore” che gli arde il cuore. Non ci confonda, inoltre, il titolo di dottore con cui lo onoriamo, per cui si tende a porre l’accento sulla intelligenza. È la fiamma della carità a far da lume all’occhio dell’intelletto perché possa vedere chiaramente la verità. Che fosse sempre l’amore a muoverlo lo si vede quando con la pubblicazione delle “Centurie di Magdeburgo”, iniziò per la Chiesa un periodo di attacchi fortissimi. Il Bellarmino da semplice giovane professore, senza essere incaricato da nessuno, cominciò subito, di propria iniziativa, a preparare la difesa, sottoponendosi a un faticoso studio, perfino da autodidatta della lingua ebraica, tant’è che quando il Papa Gregorio XIII cercò a chi affidare la cattedra delle Controversie nella neonata Università Gregoriana, non trovò uno migliore del Bellarmino.

Lo stesso “bruciante amore” forniva al nostro Santo l’inesauribile energia alla sua volontà rendendolo instancabile nel servizio. Non era Bellarmino il tipo di studioso che si infastidiva alla richiesta di un servizio di secondaria importanza che veniva a sottrargli tempo prezioso. Non c’erano per lui servizi banali, fosse anche il perdere una mattinata per cercare in biblioteca una citazione che un suo confratello gli aveva chiesto. Non si trattava per lui di calcolare se svolgere o meno quel tale servizio ma di assumere il servire come forma di vita in risposta all’amore di Cristo. La misura del tempo era per san Roberto la carità. L’episodio della meridiana serve come parabola di questo concetto. Avendo richiesto un preventivo per l’aggiustamento della meridiana in giardino, quando vide che erano due giuli disse: “non mi dà il cuore di comperare questa mia comodità con tanto danno dei poveri ai quali il non aver due giuli significa non avere il vivere per due giorni”.

È ciò che di particolarmente affascinante troviamo nel nostro Santo: per essendo magnifico il suo ingegno, più di tutto ci incanta la sua carità.  Lo vediamo indaffarato, ma mai stressato, in mille compiti quotidiani verso il Corpo di Cristo, che è la Chiesa, a cui si accosta ogni volta con modi per certi aspetti più materni che paterni, per via della dedizione piena, attenta e delicata, con cui si prende cura delle membra di Gesù, richiamando alla nostra mente i gesti di Maria nella culla di Betlemme. Amore concreto che tutto accettava di sbrigare con impegno. Al dotto professore che formò schiere di giovani studenti al martirio della verità – e non pochi furono quelli che, specialmente in Inghilterra e in Germania, versarono davvero il loro sangue – non fu data la possibilità di imitarli come desiderava, ma potremmo considerarlo, in certo modo, una sorta di “martire del servizio”.

È pur vero che la legna deposta nel ripostiglio è fredda, oscura e graffia le mani (è quindi fastidiosa) ma se con essa alimenti il fuoco tutta la casa gode del suo calore. Questi erano i molteplici impegni per Bellarmino: legni ad alimentare il fuoco dell’amore al cui calore molto si confortò la Chiesa.

Essendo richiesto il suo aiuto da molti vescovi cattolici di varie parti del mondo egli soleva dire loro: “Se è in mio potere fare qualche servizio in Roma avete il diritto di carità di comandarmi. Basta informarmi ed io vi provvederò con la migliore buona volontà”.

Le sue lettere spesso terminano con questa frase: “se c’è ancora qualche cosa che io possa fare mi troverete sempre a vostra completa disposizione”.

I testimoni raccontano che quando qualcuno gli chiedeva aiuto sembrava che fosse lui a ricevere un favore e non si lamentò mai di avere troppo da fare. Rifiutò di stabilire delle ore fisse per i visitatori e insisteva che fossero ammessi in tutte le ore. Se stava scrivendo interrompeva subito per dare il benvenuto al visitatore. Esercitava molto e con scrupolo il ministero della Confessione. Attingeva dalla preghiera l’ardente carità che gli fece amare con speciale predilezione i poveri.

Fu Padre spirituale di san Luigi Gonzaga e di altri santi. Scrisse libri mistici che ebbero grande diffusione nei quali, come si diceva, “il Bellarmino spiritualizza il nostro quotidiano cammino”.

È suo uno dei libri più attraenti che siano mai stati scritti sul paradiso, L’eterna felicità dei santi, a cui attingo, infine, per rivolgere a San Roberto il nostro reverente saluto. Egli osserva che il Signore nel Vangelo non dice: “possa la gioia del tuo Signore entrare in te” ma: “entra tu nella gioia del tuo Signore”. Cioè quando si parla del Paradiso si tratta una gioia talmente più grande di noi da non poter entrare in noi, siamo noi invece che possiamo entrare in essa. Perciò ti salutiamo, San Roberto, onore e vanto della nostra Chiesa diocesana, entrato nella luce di Dio percorrendo la via  del dono nel servizio ecclesiale: prega per noi, ottienici le grazie di cui abbiamo bisogno per crescere come Chiesa e benedici il cammino sinodale che insieme alla Chiesa italiana stiamo per iniziare.  Amen.