A MONTICCHIELLO TORNA L’ESPERIENZA DEL TEATRO POVERO

A Monticchiello, piccolo borgo medievale che sorge nel cuore della Val d’Orcia, sabato scorso, 27 luglio, è tornato in scena un progetto sociale e culturale nato negli anni ’60 del secolo scorso e che ritorna puntale ogni estate: quello del Teatro Povero.

Un appuntamento tradizionale del quale ha parlato anche il giornale Toscana Oggi, con un articolo dedicato a questa bellissima realtà, che ogni anno vuole mostrare la vitalità culturale ancora forte a Monticchiello.

La Cooperativa che tiene in vita ancora oggi questa realtà ha spiegato a Toscana Oggi come «agli inizi di quel decennio Monticchiello attraversava una profonda crisi collegata alla rapida eclissi del sistema economico e sociale che aveva caratterizzato per secoli la sua esistenza: la mezzadria. Lavoro, cultura e tradizioni andavano rapidamente scomparendo e la popolazione in pochi anni subì un drammatico calo, fu quasi dimezzata dalla migrazione verso le città in cerca di lavoro e di migliori condizioni di vita date dal boom economico. Quelli che per scelta o necessità decisero di rimanere iniziarono allora a riflettere sul senso delle rapide trasformazioni che stavano travolgendo il loro mondo e le loro identità. In un paese senza un teatro venne così deciso di aggregarsi attorno a un’idea di teatro in piazza: una forma di spettacolo che divenne presto un tentativo di ricostruzione collettiva e ideale del senso delle proprie vite. Una forma di resistenza alla crisi, un modo per resistere e per esistere che dura ancora adesso».

Per il 58° autodramma, che sarà in piazza fino a mercoledì 14 agosto, Gianpiero Giglioni, co-regista e drammaturgo, ha invece raccontato cosa aspettarsi: «Dalle assemblee e dalle nostre riflessioni è stato elaborato un testo che sviluppa una piccola epopea familiare su un arco temporale di circa ottanta anni. Partiamo da un episodio ambientato durante la Seconda Guerra, con le difficoltà di una famiglia di mezzadri contadini messa in ginocchio dalle conseguenze del conflitto e dallo sfruttamento padronale. Qua incontriamo anche quelli che saranno i due protagonisti, Tonio e Palmira, fratello e sorella, i quali prenderanno via via strade opposte, nei valori, nelle scelte esistenziali. In loro, evidentemente, si allude anche a una profonda ambivalenza che da allora esiste nella società italiana. Li ritroviamo infatti poi nel 1960, mentre lei è intenta ad aiutare i vecchi mezzadri ad uscire dalla marginalità e dal bisogno materiale e lui si dà da fare, al contrario, per sfruttare senza tanti scrupoli le occasioni di profitto rese possibili dal boom economico. L’epilogo sarà ai nostri giorni, mostrando le conseguenze umane, psicologiche e sociali dei distinti percorsi, dove, infine, giunti al dunque, per tutti sarà terribilmente difficile affermare delle scelte autonome e personali, al di là dei condizionamenti sociali e familiari. Il titolo, “Il velo della sposa”, allude sia ai tre matrimoni che scandiscono ciascuna delle tappe storiche della narrazione, sia a una trasparenza dietro la quale si celano verità non immediatamente percepibili, necessariamente da scoprire con un percorso di disvelamento e, per certi versi, di liberazione».