Author:

LE RIFLESSIONI SULL’APOCALISSE DI MONS. BENEDETTO ROSSI

Si sono conclusi a Chianciano, con l’intervento di Mons. Benedetto Rossi, gli incontri diocesani di lectio divina dedicati all’Apocalisse di Giovanni, che erano iniziati l’anno scorso con gli interventi del card. Augusto Paolo Lojudice, di Padre Angelo Maffeis e del prof. Andrea Giambetti.
Di seguito, condividiamo il testo integrale dell’intervento di Mons. Rossi:

 

APOCALISSE

A cura di Mons. Benedetto Rossi

Professore della Facoltà Teologica dell’Italia Centrale e Rettore del Santuario Casa di Santa Caterina a Siena

 

Le riflessioni sull’Apocalisse partono dal brano “Ecco la dimora di Dio con gli uomini. La nuova Gerusalemme Ap 21,1-22,5

Giovanni aveva già presentato i nemici della Chiesa, in tutta la loro capacità di offesa (cc. 12-14); poi, in ondate successive, ne aveva riferito la loro sconfitta (cc. 15-20). Nella nostra sezione (Ap 21,1-22,5) presenta, per contrasto, la Chiesa, fidanzata-sposa dell’Agnello e nuova Gerusalemme. Viene spontanea la domanda: nei cc. 21-22 Giovanni parla della Chiesa dei beati in paradiso o della Chiesa di noi mortali su questa terra? La risposta da dare è semplice e sorprendente: egli parla nello stesso tempo di tutte e due insieme, facendo emergere ora alcuni lineamenti della Chiesa celeste («non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello»: Ap 21,23) e ora alcuni lineamenti di quella terrestre («le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra a lei porteranno la loro magnificenza»: 21,24). Però – ed è assai importante notarlo – Giovanni tiene direttamente presente la Chiesa militante, la nostra; parla anche della Chiesa in cielo per indicare quanto già di grandioso possiede la Chiesa sulla terra e quanto di veramente sublime la attende nella visione beatificante di Dio e dell’Agnello in cielo.

Nello scrivere queste pagine immortali, Giovanni si comporta come pastore e profeta e non come sognatore apocalittico. Fortifica la fede e la costanza dei credenti facendo conoscere ad essi la sovrumana dignità che la loro comunità cristiana ha agli occhi di Dio e di Cristo e la meta definitiva alla quale sono destinati.

Dividiamo il tutto in tre parti: il nuovo mondo (Ap 21,1-8); la nuova Gerusalemme che scende dal cielo (21,9-27); la visione beatificante di Dio e dell’Agnello (22,1-5). Le tre parti sono tre riprese esplicative di un messaggio che è unico; sarebbe errato leggerle come se fossero tre realtà che si succedono cronologicamente l’una dopo l’altra.

Nel primo brano Giovanni presenta la nuova creazione dove ha sede la nuova Gerusalemme; riporta una voce dall’alto che proclama la presenza di Dio in mezzo agli uomini; infine, riferisce le affermazioni solenni di Dio stesso.

La letteratura apocalittica parla volentieri di un mondo nuovo, o perché ritiene che il precedente è stato distrutto e ricreato, o perché ha subito modificazioni sostanziali. Il nostro autore si riallaccia a questo modo di esprimersi che indica, in ogni caso, cambiamento radicale. Scrivendo in modo telegrafico: «Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più» (Ap 21,1), Giovanni si ispira alla parte finale del libro di Isaia, dove Dio preannunciava: «Ecco io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato… poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, e farò di Gerusalemme la mia gioia, e del suo popolo un gaudio» (Is 65,17-18; cf. 66,12).

Ma, diversamente da quanto si vorrebbe, Giovanni non soddisfa le nostre curiosità. Segue infatti un modo tradizionale di esprimersi già presente in Isaia, e ancor più nella successiva letteratura apocalittica; se ne serve per presentare messaggi del tutto nuovi, che si riportano al cuore della cristologia e dell’ecclesiologia. Non risponde perciò alle nostre domande: il mondo fisico attuale finirà o subirà solo modifiche? Verrà creato di nuovo e diverso?[1]  Come vedremo man mano, Giovanni vuole affermare la presenza di Dio e dell’Agnello tra quelli che sono già i beati del cielo e quelli che, sulla terra, credono e lottano lungo tutto il tempo della Chiesa. La creazione dei nuovi ambienti, cielo e terra, è in funzione di questa novità di presenza divina, ed esprime tale presenza. Il mare, elemento ritenuto abitualmente infido e pericoloso, cessa di esistere.

Passando a quanto anticipa sulla nuova Gerusalemme – «Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 21,2) – notiamo che Giovanni usa la denominazione «Gerusalemme» solo tre volte nel suo scritto, e le dà sempre valore simbolico. Ecco i tre testi:

Il vincitore lo porrò come una colonna nel tempio del mio Dio e non ne uscirà mai più. Inciderò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme che discende dal cielo, da presso il mio Dio, insieme con il mio nome nuovo (Ap 3,12).

Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo (Ap 21,2: il nostro testo).

Poi venne uno dei sette angeli che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli e mi parlò: «Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell’Agnello». L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio (Ap 21,9-10).

Già nel testo di Is 65,18-25, citato sopra, il profeta non si limita a preannunciare la ricostruzione materiale di Gerusalemme; perché, come in altri casi simili, la realizzazione materiale non esaurisce la ricchezza e l’ampiezza del preannuncio (si pensi al nuovo esodo da Babilonia: Is 43,16-21). Ebbene, il Nuovo Testamento va avanti su questa linea metaforica e – nei nostri tre testi – dà a Gerusalemme valore simbolico. Paolo aveva già abbozzato questo simbolo nella celebre allegoria delle due alleanze (ebraica e cristiana) e dei figli, quello proveniente dalla schiava (Ismaele-Agar) e quello proveniente dalla libera (Isacco-Sara), distinguendo così la «Gerusalemme attuale» da quella di lassù. E affermava: «Invece la Gerusalemme di lassù è libera ed è la nostra madre» (Gal 4,24). In questo modo indicava con Gerusalemme la comunità nata dalle promesse divine («nostra madre») cioè la Chiesa cristiana. Sempre movendosi sulla stessa linea, altrove Paolo parla del cristiano come di un cittadino della Gerusalemme celeste (cf. Fil 3,20; Eb 12,22); quindi la città santa, Gerusalemme, ha solo la funzione di simbolo.

Nei tre testi dell’Apocalisse riportati sopra, Giovanni continua su questa linea metaforica. Dice che il Risorto fa del vincitore come una colonna che sta in continuazione alla presenza di Dio («nel tempio»), e che il Risorto incide su questa colonna il nome di Dio, il suo stesso nome, il nome della nuova Gerusalemme. In altre parole, dice che il battezzato, in quanto rimane fedele al proprio credo, gode di una particolare presenza di Dio e del Risorto nella Chiesa (nuova Gerusalemme), oggi sulla terra, domani nel cielo.

La stessa portata metaforica Giovanni dà a «Gerusalemme» nei due testi di Ap 21. Dice che è «la città santa», cioè la piena realizzazione della Gerusalemme terrena distrutta circa un quarto di secolo prima; dice che scende dal cielo, perché è di natura trascendente; che è la fidanzata (nymfè) e la sposa (gyné) dell’Agnello, cioè che si trova in particolare rapporto di amore col suo Redentore; dice che poggia su dodici basamenti «sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello» (21,14), cioè ha la qualifica di «apostolica»; e dice che, mossa dallo Spirito grida allo Sposo: «Vieni» (22,17)[2].

Giovanni ha così enunciato i due concetti fondamentali della sezione: quello della nuova creazione che, anche se non ripreso, fa da sfondo a tutto ciò che sta per dire; quello della nuova Gerusalemme, che riprende fra poco e con un lungo sviluppo. La novità essenziale – come dirà nel brano che stiamo per leggere – è il fatto che Dio è presente e per questo fa nuove tutte le cose.

 

1.2. IL DIO PRESENTE E LA NUOVA ALLEANZA

La voce potente, che esce dal trono di Dio e che esprime in modo perfetto il pensiero di Dio, si era fatta udire già altre volte: quando preannunciava la rovina di Babilonia (Ap 16,17) e quando chiedeva di lodare Dio in vista delle nozze dell’Agnello (19,5.7). Ora riecheggia di nuovo, per presentare la Gerusalemme simbolica come la dimora di Dio in mezzo agli uomini e per dire che Dio stesso asciuga le lacrime dei suoi credenti.

3Udii allora una voce potente che usciva dal trono: «Ecco la dimora di Dio con gli uomini!

Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il “Dio-con-loro”.

4E tergerà ogni lacrima dai loro occhi;

non ci sarà più la morte,

né lutto, né lamento, né affanno,

perché le cose di prima sono passate» (Ap 21,3-4).

L’affermazione: «Ecco la dimora di Dio con gli uomini!», quanto mai solenne, conclude le tante promesse che l’Antico Testamento fa di una particolare presenza divina che spesso si accompagna alla promessa di alleanza. Vogliamo ripercorrere brevemente questo elemento fondamentale della storia della salvezza, partendo dall’Antico Testamento e raggiungendo il Nuovo Testamento.

Agli ebrei ancora nel deserto Dio preannuncia: «Stabilirò la mia dimora in mezzo a voi e io non vi respingerò. Camminerò in mezzo a voi, sarò vostro Dio e voi sarete mio popolo» (Lv 26,12). Tale promessa si realizza in parte mediante la costruzione dell’arca dell’alleanza, simbolo della presenza di Dio: «Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro» (cf. Es 25,8). Ai deportati, Ezechiele rinnova la promessa della presenza di Dio: «In mezzo a loro sarà la mia dimora: io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo» (Ez 37,27). Il profeta Zaccaria ripete la stessa promessa per invogliare gli ebrei deportati in Babilonia a ritornare nella terra d’Israele: «Gioisci, esulta, figlia di Sion, perché, ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te: oracolo del Signore» (Zc 2,14).

La promessa si realizza perfettamente nel Nuovo Testamento. Colui che nasce da Maria viene chiamato, per volere dell’angelo che parla in nome di Dio, «Emmanuele, che significa Dio con noi» (Mt 1,23); ed Emmanuele è la parola ebraica che equivale nella sostanza al «Dio-con-loro» del nostro testo di Ap 21,3. Questa presenza dell’Emmanuele si realizza ogni volta che i credenti sono riuniti fra di loro nel nome di Gesù (cf. Mt 18,20), ogni volta che celebrano l’eucaristia (Mt 26,26-29), lungo tutta l’esistenza della Chiesa fino alla fine dei tempi: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

Il quarto Vangelo, riprendendo da questa lunga tradizione, sottolinea col verbo «attendarsi», che il tema del Dio presente trova la sua espressione massima nell’incarnazione, nel fatto cioè che il Verbo che era in principio, che era presso Dio, che era di natura divina, si fece carne e «si attendò» (skènòò) in mezzo agli uomini.

Nell’Apocalisse Giovanni è attento al tema della presenza divina e la esprime o col verbo «attendarsi» (skènòò, come in Ap 21,3), o col rispettivo sostantivo «tenda-dimora (skèné, in 21,3)[3].  Inoltre collega espressamente fra loro presenza divina e alleanza. Nel nostro brano usa il formulario, diremmo, classico dell’alleanza: «Essi saranno suo popolo ed egli sarà il “Dio-con-loro”» (21,3), formulario che ripete poco dopo: «Io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio» (21,7).

In breve, Giovanni – che scrive tra gli ultimi autori del Nuovo Testamento – nel nostro brano lega la presenza divina a tutta la storia della salvezza, all’istituzione fondamentale dell’alleanza, alla presenza divina del Verbo fatto carne nella Chiesa: presenza che – come si ha da altri testi – è quella del Padre, del Risorto, dello Spirito settiforme.

Giovanni dice che la Chiesa terrena – la sua comunità, per la quale egli scriveva, e la nostra, che sta leggendo il suo libro ispirato dell’Apocalisse – è illuminata e vivificata continuamente dalla presenza di Dio, che è presenza di unione mediante l’alleanza. Per lui i cieli nuovi e la terra nuova, la Gerusalemme nuova, sono già, qui sulla terra, nella Chiesa, mentre questa attende la piena glorificazione.

1.3. «Ecco, IO FACCIO NUOVE TUTTE LE COSE»

A questo punto, Dio stesso prende la parola, per la seconda e ultima volta nell’Apocalisse. La prima volta lo aveva fatto in Ap 1,8, quando si era autodefinito: «Io sono l’Alfa e l’Omega… Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!».

5E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»; e soggiunse: «Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci.

6Ecco sono compiute!

io sono l’Alfa e l’Omega,

il Principio e la Fine.

A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita.

7Chi sarà vittorioso erediterà questi beni; io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio.

8Ma per i vili e gl’increduli, gli abietti e gli omicidi, gl’immorali, i fattucchieri, gli idolatri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. È questa la seconda morte» (Ap 21,5-8).

Giovanni ode Dio che fa alcune affermazioni.

La prima è questa: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose». Dio che era stato adorato nel suo ruolo di Creatore, ora viene presentato come artefice della nuova creazione. Porta a compimento il nuovo esodo (cf. Is 43,19) che è il rinnovamento radicale dell’uomo mediante Cristo: «Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate nuove» (2Cor 5,17; cf. Gal 6,15). La «nuova creazione» si realizza con l’appartenenza a Cristo redentore.

La seconda affermazione è il comando che rivolge a Giovanni di scrivere: «perché queste parole sono certe e veraci». Così autentica tutto quello che Giovanni aveva scritto fin qui, o per comando di un angelo (Ap 1,11; 19,9) o per comando di Cristo stesso (1,19). Ora che si è al termine, è Dio stesso che autentica i vari ordini.

La terza affermazione, rilevabile nell’originale greco con un «e mi disse», è particolarmente grandiosa nella sua brevità: «Ecco sono compiute!» (Ap 21,6), che in greco è una sola parola, gégonan, perfetto di gìnomai. E l’annuncio solenne che la nuova creazione è avvenuta ed è in atto; che, quindi, i credenti, fin da ora, sono cittadini della Gerusalemme celeste, partecipi della gloria divina. Naturalmente questa testimonianza può essere accolta su questa terra solo mediante la fede.

Con la quarta affermazione, che serve ad autenticare le precedenti, Dio dà una definizione solenne di se stesso: «Io sono l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine» (Ap 21,6). Si colloca, quindi, dall’inizio (alfa è la prima lettera dell’alfabeto greco) fino alla fine (omega ne è l’ultima) della storia della salvezza; è quanto dice in altro modo con «il Principio e la Fine». È importante rilevare che Giovanni usa questi stessi titoli in riferimento a Cristo, che viene per rendere a ciascuno secondo le sue opere: «Io – dice Cristo – sono l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il principio e la fine» (22,13). Aggiungiamo che anche i titoli «primo e ultimo» vengono dati a Gesù in 1,17 e 2,6. Da questi casi, e da altri che abbiamo esaminato man mano nei capitoli precedenti, rileviamo che Giovanni sente la forte preoccupazione di sottolineare l’unità di natura tra il Padre e il Figlio, e per questo usa termini interscambiabili per i due.

La quinta affermazione si esprime in un invito: «A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita» (Ap 21,6). La frase si ispira a Is 55,1 ma, nella sostanza, continua il tema dell’acqua viva che si ha nei testi giovannei (Gv 4,10-14; 7,37-38) e, con tutta probabilità, si riporta ai sacramenti che danno origine alla vita cristiana e la sostengono; il battesimo e l’eucaristia. Infatti, in un testo, il cui colorito liturgico viene riconosciuto da molti, Giovanni afferma: «Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni ! ”. E chi ascolta ripeta: “Vieni!”. Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l’acqua della vita» (Ap 22,17). Sono lo Spirito e la sposa, cioè la Chiesa sotto l’azione dello Spirito, che nel corso dei secoli invitano ad attingere all’acqua della vita.

Infine Dio fa questa promessa al vincitore: «Io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio» (Ap 21,7)[4].  Come abbiamo detto sopra, si tratta di una formula di alleanza. Subito dopo, e forse con nostra sorpresa, lancia minacce contro coloro che si danno ai vari vizi che vengono elencati («i vili e gl’increduli, gli abietti e gli omicidi, gl’immorali, i fattucchieri, gli idolatri e… tutti i mentitori»: 21,8). Questo elenco è uno dei tanti segnali che ci dicono che Giovanni sta parlando della Chiesa coi suoi difetti, quindi della Chiesa sulla terra (cf. ce. 2-3); ma proprio questa Chiesa, che soffre, che è tentata e che cade, riproduce sulla terra la Chiesa della gloria celeste.

1.4. CONCLUSIONE

Nel brano che abbiamo visto Giovanni concentra l’attenzione totalmente su Dio, artefice della nuova creazione e della nuova Gerusalemme, presente in mezzo ai cristiani come il Dio realizzatore della nuova alleanza e come colui che dà il giusto premio al vincitore. Però, dal momento che usa termini interscambiabili tra Dio e Gesù Cristo, Giovanni fa ritenere che, pur parlando qui solo di Dio, ha presente anche Gesù Cristo. Parlerà esplicitamente delle due persone divine nel brano che segue.

 

  1. LA NUOVA GERUSALEMME

Giovanni riprende per un attimo il tema della fidanzata-sposa dell’Agnello (cf. Ap 21,2) e poi subito dopo lo lascia. Passa così dalla fidanzata-sposa alla simbolica «città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio». È quest’ultimo – la Gerusalemme che scende dal cielo – un tema classico nella tradizione apocalittica e Giovanni lo tratta in modo ampio e approfondito. Rapito in Spirito egli vede le mura della città (Ap 21,12-14), si fa un’idea delle dimensioni della città e delle mura (21,15-17), elenca i materiali con i quali le mura sono state innalzate (21,18-21), constata che la città non ha un tempio (21,22-23) e osserva il continuo fluire dei popoli pagani nella città santa (21,24-27). Noi riproduciamo parte di questa grandiosa descrizione simbolica.

2.1.  LA NUOVA GERUSALEMME E I DODICI APOSTOLI DELL’AGNELLO

Un angelo, con in mano le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli (cf. Ap 15,1.7), aveva già fatto vedere a Giovanni «una donna seduta sopra una bestia scarlatta, coperta di nomi blasfemi… ammantata di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pietre preziose e di perle… Babilonia la grande, la madre delle prostitute e degli abomini della terra» (17,3-5); un angelo ora gli fa vedere «la fidanzata, la sposa dell’Agnello… la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio» (21,9-11). È evidente che Giovanni abbozza un contrasto tra Babilonia, la grande meretrice, e la nuova Gerusalemme, «madre dei santi e immagine della città superna» (A. Manzoni); ma non lo continua.

Ispirandosi a vari testi del Secondo Isaia e ad Ez 40-48, Giovanni porta avanti la descrizione della città simbolica, insistendo più sulle mura che sulla città stessa.

9Poi venne uno dei sette angeli che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli e mi parlò: «Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell’Agnello». 10L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. 11Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. 12La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. 13 A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre porte. 14Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello (Ap 21,9-14).

Si tratta – lo ripetiamo – della Chiesa pellegrinante che l’autore sacro illumina con gli splendori della Chiesa trionfante; che poggia sui dodici basamenti che sono i dodici apostoli dell’Agnello (Ap 21,14); che, insieme allo Spirito e quale sposa dell’Agnello, implora il ritorno dello Sposo (22,17).

Per presentare la Chiesa nella sua realtà più profonda Paolo era ricorso all’immagine del «corpo di Cristo» (cf. ICor 11,16-17; 12). Qui Giovanni ricorre all’immagine della fidanzata (cf. già 2Cor 11,2) e sposa, immagine carica di genuini sentimenti di amore.

Per dissuadere il lettore dal ricorrere con la mente alla Gerusalemme terrena, Giovanni presenta la sua Gerusalemme nuova come un cubo perfetto e ricorre al numero simbolico di 144.000 che ha già usato. «La città è a forma di quadrato, la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L’angelo misurò la città con la canna: misura dodici mila stadi; la lunghezza, la larghezza e l’altezza sono eguali» (Ap 21,16). Una città di forma cubica è un assurdo architettonico e pratico; d’altra parte però il cubo è simbolo di perfezione che sta ad indicare ciò che è perfetto: in qualsiasi modo lo metti rimane sempre uguale.

2.2.  L’ONNIPOTENTE E L’AGNELLO SONO IL suo TEMPIO

Dopo aver fatto – in funzione simbolica – l’elenco dei materiali più preziosi coi quali è costruita la città (Ap 21,18.21), Giovanni va avanti nella sua descrizione simbolica, dicendo che Dio e l’Agnello sono il tempio di quella città:

22Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio. 23La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello.

24Le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra a lei porteranno la loro magnificenza.

25Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, poiché non vi sarà più notte.

26E porteranno a lei la gloria e l’onore delle nazioni.

27Non entrerà in essa nulla d’impuro,

né chi commette abominio o falsità,

ma solo quelli che sono scritti

nel libro della vita dell’Agnello (Ap 21,22-27)

La costruzione del tempio ad opera di Salomone aveva segnato un punto di partenza importantissimo nella storia religiosa d’Israele. Verso quel luogo santo andavano le speranze più profonde di tutto Israele. È quanto attestano i libri biblici dell’Antico Testamento, sia di genere storico che profetico; alcuni salmi cantano con accenti di profonda religiosità il tempio in quanto luogo della presenza di YHWH in mezzo al suo popolo. Era il tempio che dava la qualifica di «santa» a Gerusalemme[5].

Giovanni, dicendo che non vide nella città santa alcun tempio, presenta una forte rottura con il passato, rottura che a noi forse può sfuggire. Nello stesso tempo fa due affermazioni: alla città la presenza divina è tuttavia assicurata e in modo più valido; tale presenza divina si realizza, in modo nuovo e perfetto, mediante Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello, che sostituiscono il tempio.

Mettendo da parte la grandiosa presentazione letteraria, che è propria a Giovanni, il messaggio della presenza di Dio e di Gesù tra i redenti, e – in altri testi, numerosi – dello Spirito Santo, nella Chiesa come nel singolo credente, si riscontra sia negli scritti paolini (cf. per es., 1Cor 3,16-17; 6,19; 2Cor 6,16) che in quelli giovannei (cf. Gv 14,17.23) e sinottici (Mt 28,20). Nell’Apocalisse Giovanni riprende e porta avanti questo messaggio di fondo del Nuovo Testamento, inserendolo nella cornice della Gerusalemme che scende dal cielo.

L’autore aggiunge anche un tocco ecumenico e universalistico: «le nazioni cammineranno alla sua luce… le sue porte non si chiuderanno mai» (Ap 21,24.25; cf. Is 60,3.5.11). Quindi, sarà meta dell’intera umanità e non solo del popolo ebraico.

2.3.  Dio E L’AGNELLO NELLA COMUNITÀ DEI REDENTI

A questa Gerusalemme simbolica, Giovanni collega il nuovo paradiso che sostituisce e porta a compimento quanto veniva detto del paradiso terrestre:

1Mi mostrò poi un fiume d’acqua viva limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. 2In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall’altra del fiume si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni.

3E non vi sarà più maledizione.

Il trono di Dio e dell’Agnello

sarà in mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno;

4Vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla fronte.

5Non vi sarà più notte

e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli (Ap 22,1-5).

 

Ricorrendo all’immagine del fiume d’acqua viva e limpida che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello Giovanni si richiama a Ez 47,1-12. In questo brano il profeta parla di acqua miracolosa che sgorga al lato destro del tempio di Gerusalemme, che poi, crescendo in quantità, vivifica nel suo corso quella zona desolata che gli arabi oggi chiamano Wadi en-Nar, «torrente di fuoco», con la crescita di alberi che danno frutti ogni mese; acqua che infine sfocia nel Mar Morto rendendolo pieno di vita. Inoltre, si richiama a Gen 2,8-17 che descriveva il paradiso terrestre dei progenitori. Tuttavia, in quanto affianca il testo di Genesi a quello di Ezechiele, Giovanni dice chiaramente che non vuole parlare di un semplice ritorno al paradiso passato di Adamo ed Èva, ma al paradiso futuro, del cielo. È in questo paradiso celeste che i redenti godranno, in tutta la sua pienezza, la presenza del «trono di Dio e dell’Agnello», ricordata per ben due volte in questo breve brano (Ap 22,1.3).

Ma Giovanni dice che, già fin d’ora, sulla terra, i cristiani possiedono, nella sostanza, tale paradiso; perché nella fede essi hanno parte a una speciale comunione con Dio e con l’Agnello. Giovanni aveva riferito questa promessa del Risorto: «Il vincitore lo porrò come una colonna nel tempio del mio Dio e non ne uscirà mai più. Inciderò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme che discende dal cielo, da presso il mio Dio, insieme con il mio nome nuovo» (Ap 3,12). Il credente, che non si lascia vincere dal male, sa di essere in rapporto particolare col Dio presente («nel tempio del mio Dio»); di appartenere al suo Dio e all’Agnello redentore («porteranno il suo nome sulla fronte»); di essere cittadino del cielo («la nuova Gerusalemme che discende dal cielo»). Giovanni aveva anche visto «l’Agnello-ritto sul monte Sion e insieme centoquarantaquattromila persone che recavano scritto sulla fronte il suo nome e il nome del Padre suo» (Ap 14,1). I battezzati, in quanto sono «gli illuminati» (Eb 6,4; 10,32), partecipano fin d’ora della luce di Dio; regnano nei secoli dei secoli, a partire dal tempo presente, perché Colui che ci ama ha fatto di noi un regno (Ap 1,6; 5,10; 20,6).

 

CONCLUSIONE

Facciamoci contagiare dall’entusiasmo soprannaturale che Giovanni ha per la Chiesa umile, discriminata e perseguitata del suo tempo, e di tutti i tempi, e che esprime e canta con tanta efficacia in queste pagine! Il cielo scende sulla comunità terrena e si fonde con essa! Riscopriamo, nella lode riconoscente, la dimensione escatologica come componente essenziale della Chiesa che ci accoglie e che ci unisce al mondo divino del Padre, dell’Agnello e dello Spirito Santo. Per due volte qui l’Agnello viene messo sullo stesso piano di Dio (Ap 22,1.3).

Preghiera

La Chiesa, fidanzata e sposa dell’Agnello

Signore Gesù, con la tua presenza, universale (cf. Mt 28,20) e sacramentale (cf. Mt 26,26-29), in mezzo a noi, quale Agnello immolato e, nello stesso tempo, glorioso, il cielo si unisce alla terra e la Chiesa diventa percorso per raggiungere il cielo.

Chiesa «fidanzata, sposa dell’Agnello» (Ap 21,9).

Chiesa «apostolica» perché le sue mura hanno come fondamento ultimo te, poggiano su dodici basamenti che portano «i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello» (Ap 21,14).

Chiesa «fiume d’acqua viva limpida come cristallo, che scaturisce dal trono di Dio e dell’Agnello» (Ap 22,1); «trono di Dio e dell’Agnello» (22,3); vero tempio perché in essa «il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio» (21,22); «non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello» (22,23).

«Di noi tutti abbi misericordia: donaci di aver parte alla vita eterna, insieme con la beata Maria Vergine e Madre di Dio con gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi, e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria (Preghiera eucaristica II).

Riflessione Gioia di tutti

 

Come descrivere, alla luce della rivelazione e della tradizione, la gloria celeste che il Signore ci riserva? Ecco un testo di san Tommaso d’Aquino:

«Quando saranno compiuti tutti i nostri desideri, cioè nella vita eterna, la fede cesserà. Non sarà più oggetto di fede tutta quella serie di verità che nel Credo si chiude con le parole: “vita eterna. Amen”.

La prima cosa che si compie nella vita eterna è l’unione dell’uomo con Dio.

Dio stesso, infatti, è il premio e il fine di tutte le nostre fatiche: “Io sono il tuo scudo, e la tua ricompensa sarà molto grande” (Gen 15,1). Questa unione poi consiste nella perfetta visione: “Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia” (1Cor 13,12).

La vita eterna inoltre consiste nella somma lode, come dice il Profeta: “Giubilo e gioia saranno in essa, ringraziamenti e inni di lode” (Is 51,3). Consiste ancora nella perfetta soddisfazione del desiderio. Ivi infatti ogni beato avrà più di quanto ha desiderato e sperato. La ragione è che nessuno può in questa vita appagare pienamente i suoi desideri, né alcuna cosa creata è in grado di colmare le aspirazioni dell’uomo. Solo Dio può saziarlo, anzi andare molto al di là, fino all’infinito. Per questo le brame dell’uomo si appagano solo in Dio, secondo quanto dice Agostino: “Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è senza pace fino a quando non riposa in te”.

I santi, nella patria, possiederanno perfettamente Dio. Ne segue che giungeranno all’apice di ogni loro desiderio e che la loro gloria sarà superiore a quanto speravano. Per questo dice il Signore: “Prendi parte alla gioia del tuo padrone” (Mt 25, 21); e Agostino aggiunge: “Tutta la gioia non entrerà nei beati, ma tutti i beati entreranno nella gioia. Mi sazierò quando apparirà la tua gloria”; e anche: “Egli sazia di beni il tuo desiderio”. Tutto quello che può  procurare felicità, là è presente e in sommo grado. Se si cercano godimenti, là ci sarà il massimo e più assoluto godimento, perché si tratta del bene supremo, cioè di Dio: “Dolcezza senza fine alla tua destra” (Sal 15,11)[6].

La vita eterna infine consiste nella gioconda fraternità di tutti i santi. Sarà una comunione di spiriti estremamente deliziosa, perché ognuno avrà tutti i beni di tutti gli altri beati. Ognuno amerà l’altro come se stesso e perciò godrà del bene altrui come proprio. Così il gaudio di uno solo, sarà tanto maggiore quanto più grande sarà la gioia di tutti gli altri beati».6

 

 

LO SPIRITO E LA SPOSA DICONO: «VIENI!»

La conclusione dell’Apocalisse Ap 22,6-21

Giovanni si accinge a portare a termine il suo scritto. Con una conclusione piuttosto complessa, egli si riallaccia a quanto ha scritto nel prologo, specificandolo e completandolo; ma getta anche uno sguardo di valutazione su tutto il suo libro. Dato che si concentra su Gesù che «viene presto» – tema che ripete per ben tre volte (Ap 22,7.12.20) -, noi, seguendo questo tema, divideremo l’intera periope in tre parti: «ecco verrò presto» (vv. 6-11); «verrò presto e porterò con me il mio salario» (vv. 13-20); «vieni. Signore Gesù» (v. 22,21).

 

  1. ECCO, VERRÒ PRESTO

Il brano è formato da tre brevi interventi. All’inizio parla l’angelo; poi è Giovanni stesso che parla in prima persona; infine, è l’angelo che riprende la parola.

6Poi mi disse: «Queste parole sono certe e veraci. Il Signore, il Dio che ispira i profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi ciò che deve accadere tra breve. 7Ecco, io verrò presto. Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro».

8Sono io, Giovanni, che ho visto e udito queste cose. Udite e vedute che le ebbi, mi prostrai in adorazione ai piedi dell’angelo che me le aveva mostrate. 5Ma egli mi disse: «Guardati dal farlo! Io sono un servo di Dio come te e i tuoi fratelli, i profeti, e come coloro che custodiscono le parole di questo libro. È Dio che devi adorare».

10Poi aggiunse: «Non mettere sotto sigillo le parole profetiche di questo libro, perché il tempo è vicino. 11Il perverso continui pure a essere perverso, l’impuro continui ad essere impuro e il giusto continui a praticare la giustizia e il santo si santifichi ancora» (Ap 22,6-11).

A dire il vero, all’inizio non viene detto esplicitamente chi sta parlando, che, di per sé, potrebbe essere Gesù stesso in base al versetto precedente. Si può ritenere che sia un angelo (cf. Ap 21,9), portavoce del volere di Dio. Le parole che l’angelo rivolge a Giovanni attestano la piena approvazione dell’intero libro dell’Apocalisse (cf. 21,5), e non una sola sua parte. L’autore, infatti, ha raccolto il messaggio che Dio comunica, mediante l’angelo, ai suoi servi e riguardante ciò che deve accadere «fra breve». Aveva iniziato il suo scritto servendosi di un «fra breve» (1,1), ora lo conclude con un «fra breve»: fuori di questi due casi l’espressione non ricorre più nell’Apocalisse!

Ebbene, ciò che deve accadere «fra breve» è il ritorno di Cristo: «Ecco verrò presto!» (Ap 22,7). A questo suo ritorno ci si prepara praticando quanto è richiesto nel libro dell’Apocalisse. Giovanni aveva dichiarato beato chi legge e ascolta le parole di questo scritto (1,3). Ora, richiamandosi a quella beatitudine, ne riporta un’altra che, come la prima, fa parte di un dialogo liturgico: «Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro» (22,7). Per sottolinearne l’importanza, questa volta non la dice in prima persona, ma la mette in bocca a un angelo o a Gesù stesso. Giovanni vuole ora dire all’ascoltatore: impegnati a ricordare e a praticare quanto hai già ascoltato, perché si tratta di «parole profetiche» che annunciano il ritorno di Cristo.

Nel suo intervento, Giovanni conferma le parole di approvazione che l’angelo ha dato al suo scritto, affermando che ha visto e udito quelle cose che ha scritto. Dice di aver ricevuto rivelazioni; dà ad esse un valore rivelatorio.

L’angelo riprende la parola e comanda a Giovanni di non mettere sotto sigillo il suo scritto (come invece gli era stato ordinato in Ap 10,4); ne dà la ragione, dicendo che il tempo è vicino. Rileva che tale tempo – secondo la tradizione apocalittica (Dn 12,10) – esige una forte decisione morale.

Come la presenza del Figlio dell’uomo doveva portare le sette Chiese di Ap 2-3 alla verifica morale, e come il Cavaliere presente e potente doveva rialzare e sostenere la speranza dei credenti e coinvolgerli nella vittoria (Ap 19), così ora l’attesa del ritorno di Cristo deve fondare l’impegno morale cristiano mediante l’ascolto e la pratica della parola profetica.

 

  1. VERRÒ E PORTERÒ CON ME IL MIO SALARIO

I versetti che seguono riportano l’intervento di Gesù stesso, che è fondamentale ed è anche il più lungo nella sezione; a questo segue, per lunghezza, quello minaccioso dell’autore del libro; poi, rapidissimi, quello dello Spirito e della sposa, quello di chi ascolta. Viene da pensare che il brano riproduca frammenti di una celebrazione liturgica.

12«Ecco, io verrò presto e porterò con me il mio salario, per rendere a ciascuno secondo le sue opere. l3Io sono l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il principio e la fine. 14Beati coloro che lavano le loro vesti: avranno parte all’albero della vita e potranno entrare per le porte nella città. l5Fuori i cani, i fattucchieri, gli immorali, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna!

16Io, Gesù, ho mandato il mio angelo, per testimoniare a voi queste cose riguardo alle Chiese, lo sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino» (Ap 22,12-16).

Il lungo e importante intervento di Gesù non riguarda la conclusione del libro – conclusione che dopo Ap 22,7 viene ripresa in 22,18-19 -, ma il tema di fondo dell’intera Apocalisse che è quello del Signore che viene, tema che l’autore vuole ribadire e ricapitolare in modo nuovo. Gesù ritorna come giudice, per premiare o per punire: per dare a ciascuno secondo le sue opere (cf. 2,23).

Per giustificare questo suo compito, Gesù continua facendo una sua prima autopresentazione grandiosa, con tre coppie di titoli cristologici che fanno percepire la sua divina personalità. Egli è «l’Alfa e l’Omega…, il principio e la fine» proprio come Dio stesso (Ap 1,8; 21,6); inoltre egli è «il Primo e l’Ultimo», titoli che Giovanni aveva già dato a Cristo (1,17; 2,8). Queste tre coppie sono quasi sinonime; ma la loro ripetizione ne accentua il contenuto di fondo, riguardante il fatto che Gesù racchiude nella sua persona – come Dio Padre – il passato, il presente e il futuro, come anche contiene la realizzazione del progetto divino di salvezza.

Non lasciamoci sfuggire questo messaggio teologico: anche qui Gesù viene messo sullo stesso piano di Dio e in forma tale che – salvo altri testi della stessa Apocalisse – non ha riscontro nel resto del Nuovo Testamento.

Ebbene, questo «Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, della stessa sostanza del Padre», si presenta anche quale Redentore dell’umanità.

E quanto Gesù afferma nell’ultima beatitudine dell’Apocalisse: «Beati coloro che lavano le loro vesti: avranno parte all’albero della vita e potranno entrare per le porte nella città» (Ap 22,14). Cioè, sono in situazione di felicità soprannaturale coloro che Gesù Cristo purifica e salva mediante il sacramento del battesimo e li introduce nella Chiesa. Al battesimo fanno rimando le parole: «lavano le loro vesti». Infatti credenti, candidati alla gloria, sono coloro che «hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello» (7,14), che è l’Agnello immolato (5,6). Sono i vincitori ai quali Gesù ha conferito i segni della salvezza: «Il vincitore sarà dunque vestito di bianche vesti, non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma lo riconoscerò davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli» (3,5). Sono coloro ai quali, io, il Risorto, «darò da mangiare dell’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio» (2,7). Inoltre, il «Dio da Dio» introduce nella Chiesa dove egli è continuamente presente e operante: «potranno entrare per le porte nella città»; e le mura di tale città, come veniva detto sopra, «poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello» (21,12).

In breve, la più alta dottrina cristologica si affianca alla dottrina della salvezza nella Chiesa. Inoltre, non viene dimenticato l’impegno personale: «Fuori i cani, i fattucchieri, gli immorali, gli omicidi, gli idolàtri e chiunque ama e pratica la menzogna!» (Ap 22,15).

Continuando la sua autopresentazione e preparando la ripresa della conclusione, Gesù afferma che è lui l’ispiratore della rivelazione che Giovanni ha ricevuto: «Io, Gesù, ho mandato il mio angelo, per testimoniare a voi queste cose riguardo alle Chiese» (Ap 22,16). Invece in 1,1 la rivelazione proveniva dal Padre, passava per Gesù Cristo e veniva comunicata a Giovanni dall’angelo: anche questo è uno dei tanti casi nei quali i ruoli del Padre e del Figlio sono interscambiabili.

Gesù si dà anche due autodefinizioni: «Io sono la radice della stirpe di Davide», con chiaro rimando alla sua discendenza davidica (Is 11,1; cf. Ap 5,5); poi afferma: «[Io sono] la stella radiosa del mattino». Rivendica, cioè, per sé la preannunciata dignità messianica; infatti «la stella» rimanda alla profezia che Balaam aveva fatto riguardo al Messia (Nm 24,17). Ma fa questo richiamo per coinvolgere i credenti in lui in questa sua dignità; è quanto si rileva dalla specificazione «del mattino», perché il mattino precede il giorno, quello della Chiesa e quello della gloria. Siamo sulla linea di quanto il Risorto aveva promesso al vincitore: «Darò a lui la stella del mattino» (Ap 2,28).

Da parte sua, Giovanni è ben cosciente – caso unico nella Bibbia – dell’autorevolezza del suo libro; forse è cosciente del carisma

dell’ispirazione biblica che possiede. Lo dice con tono minaccioso: «Dichiaro a chiunque ascolta le parole profetiche di questo libro: a chi vi aggiungerà qualche cosa, Dio gli farà cadere addosso i flagelli descritti in questo libro; e chi toglierà qualche parola di questo libro profetico, Dio lo priverà dell’albero della vita e della città santa, descritti in questo libro (Ap 22,18-19).

 

2.2. Lo SPIRITO E LA SPOSA DICONO: VIENI

Alle due autopresentazioni di Gesù seguono le richieste dello Spirito e della sposa, di chi ascolta e di chi vuole attingere l’acqua della vita:

Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni!». E chi ascolta ripeta: «Vieni!». Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l’acqua della vita (Ap 22,17).

Insomma, tutti chiedono una comunione più profonda e vitale con Gesù!

Lo Spirito, persona della Trinità (Ap 1,4-8), mette in comunicazione l’uomo col soprannaturale, col divino. È quanto fa nei riguardi di Giovanni, che viene (rapito) «in Spirito» nel giorno di domenica (1,10), che gli rende possibile salire in cielo davanti al trono di Dio (4,2) e vedere la nuova Gerusalemme che scende dal cielo (21,10). Nello stesso tempo, lo Spirito è sempre in rapporto con la persona e l’opera di Gesù e col suo messaggio (cf. 2,7.11.17.29; 3,6.13.22)[7].

In Ap 22,17 lo Spirito Santo muove la sposa, cioè la Chiesa, che certo si è preparata per le nozze e che è già sposa dell’Agnello, perché porti avanti e migliori il suo rapporto con Gesù. Non è ancora perfetta! Gesù, nella sua funzione di giudice, ha detto che verrà presto e porterà con sé il suo salario «per rendere a ciascuno secondo le sue opere» (22,12). Ha detto anche che vengono messi «fuori i cani, i fattucchieri, gli immorali, gli omicidi, gli idolàtri e chiunque ama e pratica la menzogna!» (22,15).

Animata dall’azione dello Spirito, la Chiesa, con slancio di fede, chiede a Gesù che venga per rendere più solida e perenne la comunione dei credenti con lui.

A questa profonda brama di comunione mediante la grazia è chiamato ad aspirare chiunque ascolta la lettura del libro dell’Apocalisse. Sotto l’azione dello Spirito, l’assemblea liturgica nella sua totalità e nei singoli che la compongono sproni se stessa alla fedeltà e alla maggiore unione con Cristo. Occorre solo andare a lui, attingere gratuitamente dalle fonti della salvezza.

In breve, il Signore promette di venire con tutto il suo splendore divino e con tutta la ricchezza della redenzione. Animati dallo Spirito i cristiani devono accoglierlo con generosità ed eroismo.

 

  1. AMEN. VIENI, SIGNORE GESÙ!

20Colui che attesta queste cose dice: «Sì, verrò presto!». Amen. Vieni, Signore Gesù. 21La grazia del Signore Gesù sia con tutti voi. Amen! (Ap 22,2021).

In queste battute finali del libro, Gesù in persona prende la parola per l’ultima volta e attesta che verrà presto: «Sì, verrò presto». A questa sua ferma promessa segue l’amen di gioiosa accettazione dell’assemblea e la calda implorazione perché Gesù venga. Il tutto si chiude con una formula epistolare con l’augurio della grazia divina sui destinatari, e con un secondo amen[8].

L’invocazione «Vieni, Signore Gesù», che qui è in lingua greca, si richiama senza dubbio alla corrispondente invocazione aramaica conservata da Paolo. L’apostolo, autenticando la sua lettera con alcune righe che scrive di proprio pugno, esorta: «Se qualcuno non ama il Signore sia anatema. Marana tha» (1Cor 16,22). Nella trascrizione riportata, marana tha propriamente significa: «Signore nostro, vieni»; però si potrebbe fare quest’altra divisione delle sillabe, cioè maran atha, e in questo caso verrebbe a significare: «Il Signore nostro venne», oppure «viene». Però, sia la resa in greco di Ap 22,21, sia altri argomenti possibili, fanno propendere per la prima trascrizione con la traduzione: «Signore nostro, vieni».

Importante è chiedersi: qual è stata la sede vitale di una tale invocazione, che doveva essere comunissima nella Chiesa apostolica, tanto che veniva compresa nella sua forma aramaica? La Didachè (10,6), uno scritto degli inizi del secondo secolo cristiano, la colloca nel contesto della celebrazione eucaristica: «Venga la grazia e passi questo mondo: marana tha (o murari atha). Amen». Lo stesso clima spirituale della celebrazione deve aver fatto nascere l’invocazione, quando cioè la comunità celebrante avvertiva in modo forte la presenza di Cristo nel sacramento e implorava la sua venuta nella gloria: «Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga» (ICor 11,26). Si può ritenere che un contesto liturgico celebrativo sia all’origine del dialogo finale del nostro testo. Sia l’amen di Ap 22,20 – purtroppo mancante in molti codici – che i frammenti di dialogo disseminati in 22,6-20 confermano questa ipotesi.

In breve, la promessa di Gesù, che viene e che viene presto, e l’invocazione della Chiesa, mossa dallo Spirito, perché venga in modo che si realizzi una piena comunione con lui, compendiano le linee fondamentali dell’Apocalisse.

 

Preghiera Vieni, Signore Gesù!

Signore Gesù, hai detto: «Io sono l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il principio e la fine» (Ap 22,13). Tu racchiudi nella tua persona il tempo e l’eternità, il punto di partenza e lo scopo ultimo dell’uomo e del creato.

Affermi ancora: «Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino» (Ap 22,16). Nella tua persona unisci il passato della promessa (Davide) con il presente del compimento (la stella radiosa del mattino) che mi salva.

Dammi la grazia di fare mie le due ultime beatitudini dell’Apocalisse: «Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro» (Ap 22,7), e «Beati coloro che lavano le loro vesti: avranno parte all’albero della vita e potranno entrare per le porte nella città» (22,14).

Signore Gesù, introducimi nel mistero della tua presenza. «Se non ti ravvederai verrò a te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto» (Ap 2,5); «Ravvediti dunque; altrimenti verrò da te presto» (2,16); «Se non sarai vigilante, verrò come un ladro senza che tu sappia in quale ora io verrò da te» (3,3); «Ecco sto alla porta e busso…» (3,20).

«Verrò presto» (Ap 22,7.12.20).

Illumina la mia mente con la luce del tuo Spirito perché io mi renda conto che la tua presenza e le tue venute richiedono sempre la mia collaborazione nella fede e nelle opere.

 

Riflessione Lo Spirito Santo e la Chiesa

Raccogliendo il messaggio della Bibbia e della Tradizione, il Vaticano li presenta lo Spirito Santo come Colui che santifica la Chiesa e la conduce alla perfetta unione col suo Sposo:

«Compiuta l’opera che il Padre aveva affidato al Figlio sulla terra (cf. Gv 17,4), il giorno di Pentecoste fu inviato lo Spirito Santo per santificare continuamente la Chiesa, e i credenti avessero così per Cristo accesso al Padre in un solo Spirito (cf. Ef 2,18). Questi è lo Spirito che dà la vita, o la sorgente di acqua zampillante per la vita eterna (cf. Gv 4,14; 7,38-39); per lui il Padre ridà la vita agli uomini, morti per il peccato, finché un giorno risusciterà in Cristo i loro corpi mortali (cf. Rm 8,10-11).

Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio (cf. 1Cor 3,16; 6,19) e in essi prega e rende testimonianza dell’adozione filiale (cf. Gal 4,6; Rm 8,15-16.26). Egli guida la Chiesa verso tutta intera la verità (cf. Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel servizio, la provvede di diversi doni gerarchici e carismatici, coi quali la dirige, l’abbellisce dei suoi frutti (cf. Ef 4,11-12; 1Cor 12,4; Gal 5,22).

Con la forza del vangelo fa ringiovanire la Chiesa, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione col suo Sposo. Poiché lo Spirito e la sposa dicono al Signore Gesù: Vieni! (cf. Ap 22,17)».

———————————————————————————————-

[1] Neppure soddisfa la nostra curiosità quanto leggiamo in 2Pt che riprende Is 65,17 e 66,12. L’autore invita i cristiani ad attendere e ad affrettare «la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli si dissolveranno e gli elementi incendiati si fonderanno! – Poi continua – E poi, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e una nuova terra, nei quali avrà stabile dimora la giustizia» (2Pt 3,12-13). Questa specificazione della fine del mondo mediante il fuoco che distrugge cielo e terra rimane del tutto isolata nel Nuovo Testamento; e chi scrive la lettera non è tanto preoccupato del modo di tale fine, quanto della ripresa del fervore e della speranza dei cristiani ai quali si stava rivolgendo.

[2] In Ap 3,12 Gerusalemme viene qualificata come «nuova»; l’aggettivo si ritrova in 21,1.2 per i cieli «nuovi» e la terra «nuova» come anche per la Gerusalemme «nuova». Questa novità proviene dalla grazia della redenzione: è il Risorto che dà un «nome nuovo» (2,17; 3,12); è all’Agnello immolato che viene innalzato un «canto nuovo» (5,9; 14,3). Gerusalemme, cioè la comunità cristiana, è «nuova» proprio perché riscattata con il sangue dell’Agnello.

[3] II verbo skènòò, «attendarsi», si ha solo nel quarto Vangelo e nell’Apocalisse (Gv 1,14; Ap 7,15 «per Dio»); Ap 12,12 e 13,6 «esseri celesti»; 21,3 «Dio». Il sostantivo skèné nell’Apocalisse si ha in 13,6; 15,5; 21,3

[4] Negli scritti giovannei (eccetto Gv 20,17) la parola Padre è riservata al solo rapporto di Gesù con Dio (Ap 1,6; 2,28; 3,5.21; 14,1). Per questo in Ap 21,7 si legge «Dio» invece di «Padre». Per Gesù, che è alla pari di Dio, Dio gli è Padre in maniera unica e irripetibile.

[5] G. Crocetti, Accostiamoci a Lui per rendergli grazie. I Salmi e il culto a Dio presente nel Tempio, Ancora, Milano 1995

[6] Tommaso d’Aquino, Conferenze sul Credo: Opuscula theologica 2, Torino 1954, 216-217. Dalla Liturgia delle Ore, IV, 504-505.

[7] Per uno sguardo d’insieme sullo Spirito Santo nell’Apocalisse si veda Crocetti, Il Vangelo dello Spirito Santo, 277-285.

 

[8] L’«amen» di Ap 22,21 manca in molti codici; alcune edizioni critiche lo omettono.

[8]                    Concilio Vaticano II, costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, n. 4; EV 1/287.

 

FINO AL 10/2 LA GIORNATA DI RACCOLTA DEL FARMACO, PER AIUTARE CHI È IN CONDIZIONI DI POVERTÀ SANITARIA

È in corso anche quest’anno, sul territorio della provincia di Siena, la Giornata di Raccolta del Farmaco (GRF), l’iniziativa promossa dal Banco Farmaceutico che compie 25 anni.

Fino a lunedì 10 febbraio sarà possibile andare nelle farmacie che aderiscono e donare un medicinale per chi ha bisogno.

Quest’anno, più di 463.000 persone si sono trovate in condizioni di povertà sanitaria, e 102.000 di queste erano minori. Serve davvero un moto di gratuità collettivo, perché nessuno debba più scegliere se mangiare o curarsi.

Di seguito l’elenco delle farmacie aderenti sul territorio della provincia di Siena:

L’11/2 A NOTTOLA L’INCONTRO GIUBILARE CON GLI AMMALATI E GLI OPERATORI SANITARI

Martedì 11 febbraio, in occasione della XXXIII Giornata Mondiale del Malato, si terrà presso l’Ospedale di Nottola l’incontro giubilare con gli ammalati e gli operatori sanitari della Diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza.

Alle ore 14.00 è prevista la Celebrazione Eucaristica presso la Cappella dell’Ospedale, presieduta dal card. Augusto Paolo Lojudice. Alle 15.00, invece, ci sarà un momento di riflessione sul tema della Giornata Mondiale del Malato 2025: “La speranza non delude” (Rm 5,5).

Per tale occasione sarà presente presso l’Ospedale di nottola anche l’icona della Madonna del Rifugio, patrona della Diocesi, venerata e invocata da tutti i fedeli del territorio.

Qui il Messaggio del Santo Padre Francesco per la XXXIII Giornata Mondiale del Malato.

GIUBILEO: IL 29/12 L’APERTURA NELLE DIOCESI DI SIENA E MONTEPULCIANO CON LE CELEBRAZIONI DEL CARD. LOJUDICE

Domenica 29 dicembre 2024 il card. Augusto Paolo Lojudice aprirà ufficialmente il Giubileo 2025 nell’Arcidiocesi di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino e nella Diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza con due celebrazioni:

•        Ore 11 nella cattedrale di Maria Assunta a SIENA (Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino).
•        Ore 16,30 nella concattedrale di San Secondiano a CHIUSI (Montepulciano-Chiusi-Pienza).

La celebrazione di Siena verrà ripresa – grazie al sostegno dell’Opera della Metropolitana di Siena – da MCM, mentre IVO TV trasmetterà il segnale che metterà a disposizione per le emittenti che ne faranno richiesta. Inoltre si potrà seguire la diretta anche sulla pagina Facebook dell’arcidiocesi e su MIA RADIO (FM. 94.7- 96.8 -97.2- 101.6), mentre l’AOU Senese di Santa Maria alle Scotte trasmetterà la Messa nei canali interni per i pazienti ricoverati. La celebrazione di Chiusi, invece, sarà trasmessa in diretta da NTi e potrà essere seguita sulla pagina Facebook della Diocesi.

IL 21 DICEMBRE LA GIORNATA INTERDIOCESANA DEI MINISTRANTI A SIENA

Continua il cammino di formazione e di incontro per tutti i ministranti dell’Arcidiocesi di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino e della Diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza con la Giornata dei Ministranti che si terrà a Siena il prossimo 21 dicembre.
Il programma della giornata prevede alle ore 10:30 il ritrovo presso il Ricreatorio del Costone, alle ore 11 la preghiera iniziale e l’incontro di formazione e poi, dopo il pranzo, il trasferimento alla Basilica di S. Francesco dove, alle ore 16, si terrà la Santa Messa presieduta dal card. Augusto Paolo Lojudice.

GIUBILEO 2025: LE APERTURE E GLI EVENTI DELLE DIOCESI DI SIENA E MONTEPULCIANO

Papa Francesco aprirà ufficialmente il Giubileo del 2025 dedicato alla Speranza con il rito di Apertura della Porta Santa della Basilica Papale di San Pietro il 24 dicembre 2024 alle ore 19.

In vista dunque dell’Anno Giubilare, questa mattina, presso il salone d’onore del palazzo arcivescovile di Siena, il Card. Augusto Paolo Lojudice, Vescovo di Montepulciano- Chiusi-Pienza  e Arcivescovo di Siena-Colle di Val D’Elsa-Montalcino, ha presentato gli appuntamenti e le iniziative per il Giubileo universale della Chiesa Cattolica nelle due diocesi.

Insieme a lui sono intervenuti: Luciana Bartaletti, consigliere provinciale delegata dal presidente della Provincia di Siena; Padre Raffaele Mennitti, responsabile del comitato Giubilare per la diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza; Renato Rossi, responsabile del comitato Giubilare per l’Arcidiocesi di Siena-Colle di Val D’Elsa-Montalcino. Ha coordinato Don Vittorio Giglio, direttore dell’ufficio comunicazioni sociali Arcidiocesi di Siena-Colle di Val D’Elsa-Montalcino.

Il materiale presentato rimarrà sempre disponibile sulla pagina del sito dedicata al Giubileo.

Nell’Arcidiocesi di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino e nella Diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza l’Anno Santo verrà aperto ufficialmente il 29 dicembre 2024 con due celebrazioni:

Ore 11 nella cattedrale di Maria Assunta a SIENA (Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino).
Ore 16,30 nella concattedrale di San Secondiano a CHIUSI (Montepulciano-Chiusi-Pienza).

Nelle concattedrali verrà aperto a:

MONTEPULCIANO: Il 31 dicembre 2024 alle ore 18 nella chiesa di S. Agnese (in sostituzione della cattedrale chiusa per lavori).
PIENZA: il 4 gennaio 2025 alle ore 18 nella concattedrale di Santa Maria Assunta.
MONTALCINO: il 5 gennaio 2025 ore 18 nella concattedrale del SS. Salvatore.
COLLE DI VAL D’ELSA: il 26 gennaio 2025 alle ore 11 nella concattedrale dei SS. Alberto e Marziale.
Nei territori delle due diocesi sono state individuate anche le Chiese Giubilari segnalate come luoghi di ritrovo per i pellegrini.

In queste chiese si terranno le catechesi per riscoprire il senso dell’Anno Santo e ci sarà la possibilità di vivere il sacramento della Riconciliazione e nutrire l’esperienza di fede con la preghiera.

Per la Diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza:

Sant’Agnese a Montepulciano.
Concattedrale di San Secondiano a Chiusi.
Catacombe di Santa Mustiola e Santa Caterina a Chiusi.
Concattedrale di Santa Maria Assunta a Pienza.
Santuario Madonna del Rifugio a Sinalunga.
Abbazia S. Salvatore ad Abbadia S. Salvatore.

Per l’Arcidiocesi di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino:

Cattedrale di Santa Maria Assunta a Siena.
Concattedrale del SS. Salvatore a Montalcino.
Concattedrale dei S. Alberto e Marziale a Colle di Val d’Elsa.
Basilica di San Francesco a Siena.
Basilica di San Domenico a Siena.
Chiesa della SS. Annunziata a Siena.
Santuario di Maria SS. Madre della Divina Provvidenza a Pancole (San Gimignano).
Pieve di S. Maria a Lamula ad Arcidosso.

Inoltre, in ogni parrocchia delle due diocesi verrà esposta un’icona legata al Giubileo e verrà accesa una lampada votiva che arderà per tutto l’anno, realizzata dall’artista Flavio Ferdinando Foderini.

Le due Diocesi, infine, prenderanno parte a Roma ai seguenti Giubilei:

25-27 aprile: Adolescenti.
30 maggio-1° giugno: Famiglie, bambini, nonni e anziani.
28 luglio- 3 agosto: Giovani.
11 ottobre: delle Chiese toscane.

RAPPORTO SPECIALE TRA LA PARROCCHIA DI CHIUSI SCALO E LA SIRIA. GLI AGGIORNAMENTI DA ALEPPO DOPO I COMBATTIMENTI DEI GIORNI SCORSI

Non si è mai interrotto il rapporto speciale tra la parrocchia di Chiusi Scalo e la Siria. Per questo, in questi giorni, parroco e vicario generale, don Antonio Canestri, ha ricevuto notizie da Aleppo, la città del nord del paese conquistata nei giorni scorsi da ribelli islamisti che hanno riacceso una guerra civile che nel paese era sostanzialmente ferma da circa quattro anni. Le notizie a don Canestri arrivano dalla parrocchia latina di Aleppo tenuta dai francescani: “Dopo i giorni di combattimento, ora la situazione sembra più tranquilla anche se non mancano problemi di vario genere: già alcuni generi alimentari cominciano a scarseggiare nel timido mercato disponibile, e l’Istinto di sopravvivenza spinge la gente a raccogliere tutto ciò che può sfamare, incominciando dal pane. Diversi punti di distribuzione nella città si svuotano velocemente. Anche da noi, la sera dopo la messa continuiamo a distribuire il pane. Il caos temuto, in una situazione di vuoto delle istituzioni pubbliche, comincia a farsi sentire concretamente, manca l’acqua e non sappiamo fino a quando, le linee telefoniche delle compagnie siriane che abbiamo finora usato sono interrotte, resta la linea internet che ci permette di stare in contatto con il mondo esterno. Le persone si scambiano il racconto di episodi di intolleranza che hanno sentito o vissuto in prima persona. Io, personalmente, non vedo ragioni per diffondere il panico, e cerco di dare alla gente messaggi positivi, in fin dei conti non sarà mai possibile vivere in una società perfetta e ci saranno sempre quelli che cercheranno di fare il male, approfittando della situazione. Sul versante umanitario abbiamo continuato la distribuzione del cibo e del pane, e nei prossimi giorni distribuiremo alle famiglie rimaste della nostra parrocchia l’aiuto mensile “raddoppiato” con la speranza che si sentano più al sicuro per quanto riguarda i viveri. Tutti gli altri programmi che non hanno una natura urgente sono sospesi. Non sono però sospese le celebrazioni liturgiche e i preparativi per il Natale”.

“Le forze dell’opposizione – aggiungono dalla parrocchia – si danno da per normalizzare la vita nella città, e si nota facilmente quanto sono preoccupati di dare una nuova immagine di sé stessi al mondo che li osserva in questi giorni: mandano messaggi di tolleranza e civiltà, istituiscono commissioni di sicurezza, si rendono disponibili ad ogni richiesta. Ma tutto questo non è ancora sufficiente a rassicurare la gente: alcuni continuano a chiedere che cosa sia giusto fare? Partire o restare? E se il fuoco della battaglia dovesse riaccendersi presto nella città? E se dovessero esserci bombardamenti sui civili? E se la tolleranza mostrata oggi dovesse tramutarsi domani in leggi discriminatorie? Sono tutte domande legittime che la gente si pone con insistenza e preoccupazione, domande alle quali nessuno sa rispondere in questo momento. Tutta la speranza è riposta nel fatto che questi accadimenti possano essere una vera occasione di una soluzione politica definitiva, e finché questo si realizzi resta la paura e il senso del pericolo con cui gli aleppini convivono da anni”.

CATECHESI: ONLINE I QUESTIONARI PER L’INDAGINE CONOSCITIVA DIOCESANA. DA COMPILARE ENTRO IL 22/12

Come preannunciato dal Card. Augusto Paolo Lojudice in occasione della Convocazione Diocesana dello scorso 6 ottobre, il Polo dell’Annuncio e della Catechesi della Diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza sta portando avanti l’“Indagine conoscitiva Diocesana”, grazie a tre questionari che hanno lo scopo di “fotografare” lo stato attuale del cammino del Servizio dell’Annuncio affidato ai Catechisti/Educatori e Pastori delle varie realtà parrocchiali. In particolare, l’indagine è rivolta all’attività della Catechesi per l’Iniziazione Cristiana dei bambini/ragazzi ed alla partecipazione alla Celebrazione Eucaristica domenicale da parte di ragazzi e famiglie.

Gli specifici questionari, indirizzati a Parroci, Catechisti e Genitori dei bambini del catechismo, sono disponibili ai seguenti link per la compilazione online:
QUESTIONARIO PER IL PARROCO O IL RESPONSABILE DELLA CATECHESI
QUESTIONARIO PER I CATECHISTI
QUESTIONARIO PER I GENITORI

È disponibile anche la versione cartacea:
QUESTIONARIO PER IL PARROCO O IL RESPONSABILE DELLA CATECHESI (CARTACEO)
QUESTIONARIO PER I CATECHISTI (CARTACEO)
QUESTIONARIO PER I GENITORI (CARTACEO)

I questionari andranno compilati entro domenica 22 dicembre e la versione cartacea dovrà essere raccolta nelle parrocchie ed inviata alla segreteria del Vescovo.

“I dati raccolti -scrivono in una lettera i responsabili del Polo – una volta elaborati ci aiuteranno a crescere nel nostro servizio di annuncio e a costruire nuove proposte. Ringraziando per la collaborazione approfittiamo dell’occasione per augurarvi un buon cammino di Avvento nella fede in Gesù che nasce”.

Qui è possibile leggere la lettera in forma integrale.

MONTEPULCINANO, IL 15/12 A GRACCIANO LA PRIMA GIORNATA DEDICATA ALLE FAMIGLIE

A partire da domenica 15 dicembre 2024, la parrocchia di S. Egidio a Gracciano di Montepulciano propone tre giornate di incontro dedicate a tutte le famiglie, un’occasione per poter stare insieme, conoscersi meglio e condividere le proprie esperienze.

Il programma della prima giornata prevede la S. Messa alle ore 11.30 con il parroco don Azelio Mariani, il pranzo condiviso alle ore 13 e un momento d’incontro alle ore 14. Sarà disponibile un servizio di animazione per bambini di tutte le età.

I successivi appuntamenti sono previsti per il 9 marzo e per l’11 maggio 2025.

IL 22/10 A MONTEPULCIANO IL CONVEGNO SU “PRESENTE & FUTURO, DOVE SONO I GIOVANI?”. PRESENTE ANCHE IL CARD. LOJUDICE

Martedì prossimo, 22 ottobre, presso il Salone Ex Macelli a Montepulciano, a partire dalle ore 9.30 si terrà il convegno “Presente & futuro, dove sono i giovani?”, un evento inserito all’interno della rassegna International Police Award Arts Festival.

All’evento prenderà parte anche il card. Augusto Paolo Lojudice, Vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza, a cui saranno affidate le conclusioni del convegno. Tra gli ospiti anche don Manlio Sodi, che intervisterà i giovani dei Licei Poliziani. Tra gli altri interventi previsti ci sono quelli di Michele Angiolini, sindaco di Montepulciano, Lara Pieri, Assessora a Istruzione, Cultura e Memoria, don Antonio Coluccia, prete di strada, Safiria Leccese, giornalista e conduttrice Mediaset, Daniele Melis, cantautore e autore, Orazio Anania, Colonnello dei Carabinieri in congedo.

SIENA: IL CARD. LOJUDICE INCONTRA AGNESE CARLETTI, NEO PRESIDENTE DELLA PROVINCIA

Questa mattina, presso il Palazzo Arcivescovile di Siena, il card. Augusto Paolo Lojudice, Arcivescovo di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino e Vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza, ha incontrato la nuova Presidente della Provincia di Siena, Agnese Carletti, a margine di un incontro della Conferenza Episcopale Toscana.

Il card. Lojudice ha voluto esprimere alla Presidente Agnese Carletti i suoi migliori auguri di buon lavoro a nome di entrambe le diocesi e ha inoltre presentato la nuova Presidente ai Vescovi della Toscana.

MONTEFOLLONICO: DOMANI LA PRESENTAZIONE DEL RESTAURO DELLA “NATIVITÀ DEL BATTISTA”

Domani, domenica 29 settembre, alle ore 16.30, presso la Chiesa di S. Leonardo a Montefollonico verrà presentato il restauro della tela “Natività del Battista”.

Interverranno: don Giampaolo Riccardi, parroco di Montefollonico; Giacomo Grazi, sindaco di Torrita di Siena; Andrea Tonini, presidente Pro Loco Montefollonico; Mary Lippi, restauratrice.

La “Natività del Battista” è un dipinto olio su tela (295×185 cm) attribuito al pittore senese Vincenzo Rustici (1557-1632) ed è collocato sull’altare laterale di sinistra della Chiesa di S. Leonardo.

 

A MONTEPULCIANO STAZIONE “IL DESIDERIO DI IRIS”, IL RACCONTO DELLA GIORNATA

Accogliendo l’invito ricevuto dai Responsabili dell’A.S.D. La Chianina, domenica scorsa nella chiesa del Sacro Cuore di Montepulciano Stazione è stata celebrata la S. Messa in ricordo della piccola Iris, deceduta nel mese di luglio all’età di 10 anni.

Erano presenti i nonni, le maestre e molti amichetti di scuola frequentata dalla bambina nella sua breve esistenza. Per l’occasione è intervenuta anche Zia Caterina, questa amabile e intraprendente signora si prende cura di tanti piccoli che affrontano percorsi simili ed è stata molto vicina ad Iris durante i tre anni della sua malattia.

Il parroco don Angelo Sonnati all’omelia, dopo aver commento la Parola del giorno che parlava delle scelte di Gesù non capite da Pietro e dagli altri, ha sottolineato la bellezza di stare vicino agli altri e lodato Zia Caterina per la sua vita donata ai piccoli che sono affetti da gravi malattie, sostenendo attivamente anche i familiari. Al termine della celebrazione ha ringraziato tutti i presenti, in particolar modo i nonni, i bambini, il coro parrocchiale e gli amici del Semi del Verbo che hanno reso più toccante e viva la s. Messa con i canti liturgici adatti alla circostanza.

Verso le 13, nei locali della A.S.D. La Chianina è stato preparato un pranzo a buffett al quale hanno partecipato almeno trecento persone, che hanno lasciato donazioni molto generose destinate all’acquisto dell’autoambulanza voluta dalla piccola Iris. La piccola, infatti, durante i numerosi viaggi dal Meyer a Careggi soleva ripetere alla mamma: “Fai acquistare un mezzo nuovo perché i bambini non abbiamo a soffrire troppo durante questi spostamenti”.

Dopo pranzo sono intervenuti il Sindaco di Montepulciano, Michele Angiolini, uno dei responsabili della Misericordia locale, Marino Protasi, e Daniela Sacco, Presidente dell’A.S.D. La Chianina che ha organizzato e curato l’evento.

Sono anche intervenuti i vigili del fuoco e alcuni volontari della Misericordia che hanno spiegato ai bambini presenti il funzionamento dei loro mezzi e mostrato gli interni dell’autoambulanza per far loro prendere confidenza con questi mezzi di trasporto che sono utili e necessari. È stata davvero una splendida giornata che ha visto più persone intervenute e attivamente presenti per realizzare una parte del desiderio di Iris: l’acquisto di una nuova autoambulanza da parte della Pia Arciconfraternita di Misericordia di Montepulciano.

MONTEPULCIANO STAZIONE: IL 15 SETTEMBRE LA MESSA PER L’EVENTO “IL DESIDERIO DI IRIS”

La parrocchia del Sacro Cuore di Montepulciano Stazione, insieme all’asd “La Chianina”, parteciperà domenica 15 settembre all’evento “Il desiderio di Iris”, per il quale verrà celebrata alle ore 11 una Messa in ricordo del piccolo angelo Iris, animata con i canti dei bambini presenti aiutati dal coro parrocchiale e dalle suore e i fratelli dei Semi del Verbo.

Iris era una bambina di 10 anni ha perso la vita a causa di un sarcoma raro e aggressivo. Nel maggio 2024, durante gli spostamenti che faceva ogni mattina per fare radioterapia aveva espresso il desiderio di “rinnovare tutte le ambulanze, perché i bambini non devono soffrire così tanto anche a causa dei mezzi sgangherati”. La sua mamma sta portando quindi avanti il progetto di acquistare un’ambulanza per la Misericordia di Montepulciano e personalizzarla con i disegni di Iris.

ABBADIA S. SALVATORE: IL 15/9 L’INCONTRO PER RICORDARE IL SERVO DI DIO VITTORIO TRANCANELLI

Domenica 15 settembre, alle ore 17, presso la Cripta della Chiesa Abbaziale di Abbadia San Salvatore si terrà l’evento “Quando servire viene prima di tutto”, promosso dalla Diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza con l’Associazione Medici Cattolici Italiani, l’Azione Cattolica Italiana e la Parrocchia di Abbadia San Salvatore.

Sarà l’occasione per ricordare il Servo di Dio Vittorio Trancanelli, con gli interventi della moglie Lia Sabatni, del professor Fausto Santeusanio e di don Antonio Bartalucci.

Vittorio Trancanelli (26 aprile 1944 – 24 giugno 1998) è stato un medico chirurgo che per tanti anni all’Ospedale di Perugia ha esercitato con molta umiltà e passione la sua professione volta al bene fisico e spirituale degli ammalati nei quali vedeva il Signore Gesù. «Un santo in sala operatoria e nella vita», così lo definì l’allora arcivescovo di Perugia mons. Giuseppe Chiaretti. Trancanelli, insieme alla moglie Rosalia Sabatini e ad alcuni amici, diede vita all’associazione “Alle Querce di Mamre”, in località Cenerente di Perugia, dove tutt’oggi è attiva nell’accoglienza di madri e minori in gravi difficoltà di qualsiasi ceto, fede e nazionalità, in stretta sinergia con la Caritas diocesana. Prima di quest’opera di carità, insieme alla moglie, decise di accogliere in “affidamento” diversi ragazzi che crebbero all’interno della loro famiglia insieme al loro figlio naturale, sperimentando il calore, l’affetto e l’assistenza di persone che li amavano.

Venerabile dal 2017, la Chiesa perugino-pievese ha avviato, dal 2006 al 2013, sull’uomo, marito, padre e medico Vittorio Trancanelli il processo diocesano di canonizzazione, appurando il grado eroico delle virtù, la fama di santità e di segni la cui validità giuridica è stata riconosciuta dalla Congregazione per le Cause dei Santi e, successivamente, nel 2017, Trancanelli è stato dichiarato Venerabile dalla Santa Sede.

FESTA DELLA BEATA VERGINE MARIA REGINA DELLA PACE ALLA MAESTÀ DEL PONTE

Come avviene da 41 anni la domenica primo settembre si è ripetuta la festa della beata Vergine Regina della Pace presso la chiesa della Maestà del Ponte. La manifestazione religiosa è culminata nella S. Messa celebrata al mattino dal parroco D. Angelo Sonnati, animata dai canti eseguiti dal coro parrocchiale diretto da C. Vestri.

Dopo il canto “o Regina della pace” il celebrante ha iniziato la celebrazione con queste partole: “Siamo qui festeggiare Maria SS. con il titolo di Maria Regina della pace…. di per sé questa festa era celebrata in parrocchia dal 1932, poi nel 1983 si iniziò a celebrarla alla Maestà del Ponte riscoprendo un’antica festa che si celebrava già nell’ottocento e culminava con la “fiera al Ponte” che nel 1928-29 era stata trasferita alla Stazione e da allora si svolge nella ultima domenica di settembre e il lunedì successivo.. Sia chiaro, e lo sappiamo benissimo, la B. Vergine Maria è unica in un angolo del paradiso vicina al figlio, ma nei secoli la devozione popolare le ha attribuito tanti titoli secondo i luoghi e le date liturgiche: così ad Abbadia e S. Agostino si celebra con il titolo  di Madonna Addolorata, mentre a Sinalunga la si invoca con il titolo Madonna del Rifugio”.

Nell’omelia, facendo riferimento al brano evangelico dell’Annunciazione, il celebrante ha messo in risalto l’umiltà e la disponibilità della fanciulla di Nazareth che ha reso possibile a Dio di farsi uno di noi nell’uomo Gesù. Ricordando i tanti drammi delle tremende guerre che si combattono in Ucraina, in Palestina e in tante regioni dell’Africa ha invitato a ritornare a pregare di più e volersi bene nelle famiglie.

Al termine non sono mancati i dovuti ringraziamenti agli “Amici della Maestà del Ponte” che curano la manutenzione di tutto l’immobile e organizzano la festa popolare. Don Angelo Sonnati ha presentato ai presenti Don Basilio che è stato nominato Vicario parrocchiale della parrocchia. Subito è seguita una breve processione intorno alla chiesa, al termine della quale è stato eseguito l’inno della Maestà ed è stato benedetto il palio che poi alla sera è stato disputato dalle 6 contrade della parrocchia.

Nel pomeriggio, infatti oltre i vari giochi popolari, si è disputala corsa dei somari tra le sei contrade: Aventino, Stazione, La Macchia, Fontago, Corbaia e Maestà del Ponte, in ricordo della corsa dei cavalli che si svolgeva durante le feste dell’ottocento e primi anni del ‘900. Il palio è stato vinto dalla contrada Aventino con l’asino condotto da Roberto Catoni.

MONTEPULCIANO; TORNA “ABITATI DALLA BELLEZZA”: APPUNTAMENTO SULLA STIGMATIZZAZIONE DI SAN FRANCESCO

Sabato 31 agosto presso l’Eremo della Maddalena a Montepulciano si terrà un nuovo appuntamento del percorso “Abitati dalla Bellezza”, gli incontri di spiritualità attraverso l’arte promossi dalla Pastorale per gli artisti della Diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza con il patrocinio della Libera Università Biblico Teologica Pio II.

Il tema di questo appuntamento sarà “Stigmata Domini Iesu in corpore meo porto”, la stigmatizzazione di San Francesco nell’iconografia del XIII secolo. Il prossimo 17 settembre, infatti, ricorreranno 800 anni dalle Stimmate del Santo di Assisi, un’esperienza dalla quale, tra le altre cose, sgorgarono le Lodi del Dio Altissimo, celebre testo poetico nel quale San Francesco si rivolge a Dio dicendo “Tu sei Bellezza”. Per prepararsi a questo importante anniversario, il cammino “Abitati dalla Bellezza” si propone quindi di cogliere alcuni aspetti attraverso l’analisi dell’iconografia della stigmatizzazione dei San Francesco nella pittura del XIII secolo.

Il programma della giornata prevede alle ore 15.30 la catechesi di fr. Mario Panconi, archivista della Provincia Toscana dei Frati Minori, poi alle 17 domande e condivisione, alle 17.30 la S. Messa e alle 19 la cena. Necessaria la prenotazione (Federico 3333669776 oppure Judy 3200574875).

MONTEPULCIANO: AGOSTINIANI IN TERRA DI SIENA, UNA CELEBRAZIONE DI ARTE, STORIA E CULTURA

La trecentesca Chiesa di Sant’Agostino di Montepulciano sarà il suggestivo scenario di un evento straordinario dedicato agli amanti dell’arte e della storia del territorio: “Agostiniani in Terra di Siena”. L’iniziativa prevede una mostra bibliografica e una conferenza inaugurale, domani sabato 3 agosto, che metteranno in luce l’importanza dei monaci agostiniani nella storia locale.

L’evento avrà inizio alle ore 16:30 con una Santa Messa presieduta da Sua Em.za Augusto Paolo Lojudice, Vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza. Seguiranno i saluti istituzionali e gli interventi delle autorità presenti: Sua Em.za Augusto Paolo Lojudice, Vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza; Michele Angiolini, Sindaco di Montepulciano; Elena Rosignoli, Consigliera Regionale; Don Domenico Zafarana, Istituto per la Valorizzazione delle Abbazie Storiche della Toscana; Don Manlio Sodi, Incaricato pastorale della cultura Diocesi Montepulciano-Chiusi-Pienza; Cinzia Cardinali, Direttrice Archivio di Stato di Siena; Giuliano Faralli, Presidente nazionale Serra Club International; Fausto Rossi, Società Bibliografica Toscana; Carlo Salvioni, Rotary Club Chianciano-Chiusi-Montepulciano; Marco Mosconi, Dirigente scolastico dei Licei Poliziani. A seguire, due importanti interventi arricchiranno la giornata: Maria Rachele Romeo presenterà “La riscoperta di un affresco: la Gloria di Sant’Agostino di Bartolomeo Barbiani”; Padre Rocco Ronzani O.S.A. discuterà su “Gli Agostiniani in Toscana. Otto secoli di storia e le sue fonti archivistiche”.

La cerimonia culminerà con l’inaugurazione della mostra di libri antichi, incisioni e acquerelli curata da Paolo Tiezzi Maestri, Andrea Giambetti e Massimo Tosi. L’esposizione includerà acquerelli contemporanei dell’architetto Massimo Tosi che ritraggono chiese e conventi agostiniani delle province di Firenze, Arezzo e Siena. La mostra resterà aperta fino al 28 agosto con orario 10:00 – 18:00.
Da sottolineare che l’iniziativa avrà una dimensione itinerante: dopo Montepulciano, la mostra sarà allestita anche nei Comuni di Asciano, Siena, Torrita di Siena e Montalcino, accompagnata da convegni e giornate di studio su Sant’Agostino e sull’importanza degli Agostiniani nelle terre di Siena.

“Agostiniani in Terra di Siena” è un evento promosso dalla Società Bibliografica Toscana, in collaborazione con l’Istituto per la Valorizzazione delle Abbazie Storiche della Toscana (ISVAST). L’iniziativa gode del patrocinio e del sostegno della Regione Toscana, del Comune di Montepulciano, del Comune di Torrita di Siena e di un prestigioso numero di enti ed istituzioni, tra cui il Consiglio Regionale della Toscana, la Diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza e la Provincia Agostiniana d’Italia.

A MONTICCHIELLO TORNA L’ESPERIENZA DEL TEATRO POVERO

A Monticchiello, piccolo borgo medievale che sorge nel cuore della Val d’Orcia, sabato scorso, 27 luglio, è tornato in scena un progetto sociale e culturale nato negli anni ’60 del secolo scorso e che ritorna puntale ogni estate: quello del Teatro Povero.

Un appuntamento tradizionale del quale ha parlato anche il giornale Toscana Oggi, con un articolo dedicato a questa bellissima realtà, che ogni anno vuole mostrare la vitalità culturale ancora forte a Monticchiello.

La Cooperativa che tiene in vita ancora oggi questa realtà ha spiegato a Toscana Oggi come «agli inizi di quel decennio Monticchiello attraversava una profonda crisi collegata alla rapida eclissi del sistema economico e sociale che aveva caratterizzato per secoli la sua esistenza: la mezzadria. Lavoro, cultura e tradizioni andavano rapidamente scomparendo e la popolazione in pochi anni subì un drammatico calo, fu quasi dimezzata dalla migrazione verso le città in cerca di lavoro e di migliori condizioni di vita date dal boom economico. Quelli che per scelta o necessità decisero di rimanere iniziarono allora a riflettere sul senso delle rapide trasformazioni che stavano travolgendo il loro mondo e le loro identità. In un paese senza un teatro venne così deciso di aggregarsi attorno a un’idea di teatro in piazza: una forma di spettacolo che divenne presto un tentativo di ricostruzione collettiva e ideale del senso delle proprie vite. Una forma di resistenza alla crisi, un modo per resistere e per esistere che dura ancora adesso».

Per il 58° autodramma, che sarà in piazza fino a mercoledì 14 agosto, Gianpiero Giglioni, co-regista e drammaturgo, ha invece raccontato cosa aspettarsi: «Dalle assemblee e dalle nostre riflessioni è stato elaborato un testo che sviluppa una piccola epopea familiare su un arco temporale di circa ottanta anni. Partiamo da un episodio ambientato durante la Seconda Guerra, con le difficoltà di una famiglia di mezzadri contadini messa in ginocchio dalle conseguenze del conflitto e dallo sfruttamento padronale. Qua incontriamo anche quelli che saranno i due protagonisti, Tonio e Palmira, fratello e sorella, i quali prenderanno via via strade opposte, nei valori, nelle scelte esistenziali. In loro, evidentemente, si allude anche a una profonda ambivalenza che da allora esiste nella società italiana. Li ritroviamo infatti poi nel 1960, mentre lei è intenta ad aiutare i vecchi mezzadri ad uscire dalla marginalità e dal bisogno materiale e lui si dà da fare, al contrario, per sfruttare senza tanti scrupoli le occasioni di profitto rese possibili dal boom economico. L’epilogo sarà ai nostri giorni, mostrando le conseguenze umane, psicologiche e sociali dei distinti percorsi, dove, infine, giunti al dunque, per tutti sarà terribilmente difficile affermare delle scelte autonome e personali, al di là dei condizionamenti sociali e familiari. Il titolo, “Il velo della sposa”, allude sia ai tre matrimoni che scandiscono ciascuna delle tappe storiche della narrazione, sia a una trasparenza dietro la quale si celano verità non immediatamente percepibili, necessariamente da scoprire con un percorso di disvelamento e, per certi versi, di liberazione».