La Chiesa in Congo è sempre stata la voce dei senza voce sin dagli albori dell’evangelizzazione del Paese. Nell’arco degli ultimi due decenni, e poco più, il Congo ha conosciuto un secondo olocausto di oltre 6 milioni di persone uccise, dopo la Seconda guerra mondiale, oltre 10 altri milioni che il re belga Leopold II fece fuori durante la colonizzazione tra 1885 e 1908. Tutto questo per colpa di uno “scandalo geologico” che è il territorio gigantesco del Congo come sicuramente avrete sentito nel video! (intitolato “il business INFERNALE delle miniere di COLTAN in Congo).
Per questo i Vescovi della Conferenza episcopale del Congo, in uno dei tanti documenti forti di denuncia di tutti questi orrori intitolato Cessate di uccidere i vostri fratelli. “La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo (Gen 4,10)” (17 gennaio 2017), dichiarano che è necessaria una «rifondazione strutturale della visione, degli approcci e delle strutture a diversi livelli: politico, militare, della polizia, dei servizi di sicurezza, umanitario, dei partner del paese».
Partendo da questo messaggio i Vescovi sono andati ad indagare nella parte Est del Congo e hanno scoperto che oltre alle ragioni economico-politiche, come l’occupazione di terre e lo sfruttamento illegale delle risorse naturali (soprattutto minerarie), vanno considerate anche le ragioni religiose.
Gli interlocutori dei Vescovi hanno riferito che è in atto «una islamizzazione della regione che si inserisce in una strategia per influenzare la politica generale del paese». E uno dei soggetti che porta avanti questa strategia è il gruppo armato di origine ugandese Forze democratiche alleate (Adf): «Alcune persone rapite dall’Adf affermano di essere state costrette ad aderire all’islam».
Netto anche il passaggio sul ruolo dell’esercito: «Le Fardc (Forze armate della Rd Congo) sono presenti, ma l’impatto della loro presenza è modesto». Siamo in presenza «di una grande infiltrazione nell’esercito di elementi stranieri»: non viene citato esplicitamente il Rwanda, paese che, nei rapporti di organizzazioni internazionali, di ong e di testimoni locali, risulta coinvolto. Due anni dopo questo messaggio tutto è venuto a galla: si è accertato infatti che il Rwanda sostiene i cosiddetti ribelli di M23 che hanno occupato già una parte del Congo da un mese per il fatto che due militari ruandesi sono stati catturati negli scontri con l’esercito congolese il 23 maggio scorso.
Sottolineano ancora i vescovi: «Con tutta evidenza, la catena di servizi di informazione e di comando appare difettosa; e molti anelli fanno parte del problema (…). Alcuni responsabili politici e militari bloccano un processo decisionale appropriato o ne compromettono l’esecuzione. Nel contempo, la debolezza delle istituzioni giudiziarie e l’impunità fanno sì che coloro che escono di prigione ritornino nel circuito della violenza».
Per queste ragioni i Vescovi, già nel 2017 avevano allertato che era «urgente e necessario spostare tutti gli ufficiali dell’esercito provenienti dalle varie ribellioni o da gruppi armati e togliere dalla catena di comando coloro che sono considerati agenti di collegamento con eserciti stranieri».
«In questa situazione la popolazione si sente abbandonata dallo Stato. Il governo centrale ha promesso più volte di ristabilire la pace, ma le promesse sono rimaste senza effetto». Chiaro che la popolazione non tiene in gran considerazione la politica. Anche perché «molti autori dei crimini si avvalgono della copertura di certuni attori politici che continuano ad alimentare i conflitti per trarne profitto; i gruppi armati sarebbero anche strumentalizzati da forze esterne che approfittando della crisi fanno razzia di risorse naturali».
Considerato che il dramma del nordest riguarda tutta la nazione e che non si può pensare di innescare uno sviluppo economico «finché il nordest rimane sotto il controllo dei predatori», i Vescovi propongono al governo e alla Monusco (la missione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo) di creare un Osservatorio per la pace e l’incremento socio-economico. Uno strumento di concertazione permanente, dotato di competenze scientifiche multidisciplinari e in grado di coinvolgere i leader locali.
Oggi bisogna prendere coscienza che la soluzione duratura non verrà dell’esterno ma dalla considerazione della prima risorsa preziosa che può salvare il Congo in quanto Stato-Nazione, cioè la consapevolezza dei congolesi di amare la patria, i concittadini, promovendo la giustizia comitativa e distributiva. Questa è la base di una politica efficace per rifondare una nazione. Ma lo stesso amore della patria mi porta anche a denunciare il furto che la mia nazione subisce dal di fuori. Purtroppo, non c’è stato mai un vero arbitro neutro di fronte a tutti questi conflitti tra nazioni. Per questo ci rivolgiamo almeno alla società civile, come voi qua, affinché l’opinione pubblica possa prendere consapevolezza di questi fatti e aiutare il popolo congolese ad organizzarsi in modo da poter prendere in mano il proprio destino.
Conferenza data a Chiusi, il 28/06/2022 in ricordo di Don Romano Kahindo, sparato a Butembo il 23 aprile 2002.
Don Robert KASEREKA NGONGI.