“Può, il batter d’ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?” domandava il meteorologo statunitense Edward Lorenz in una sua conferenza nel 1972, dove intendeva dimostrare come un semplice battito d’ali di una farfalla può causare una catena di movimenti di altre molecole fino a scatenare un uragano. Prendo in prestito questa battuta per stigmatizzare l’idea portante della enciclica Laudato Sì (d’ora in poi: LS) di Papa Francesco ovvero: “tutto è connesso” (117 –i numeri fra parentesi si riferiscono sempre agli articoli della Laudato Sì-), che attraversa come un ritornello il documento da cima a fondo. L’impostazione che il Papa ha dato all’enciclica mi pare segni una svolta significativa nel modo di raccontare la questione ecologica, perché unisce crisi ambientale e crisi sociale in un tutt’uno inseparabile, cioè la terra in cui viviamo e la moltitudine dei poveri che la abitano, per cui, come il battito d’ali della farfalla, ogni lesione della solidarietà e dell’amicizia civica provoca danni ambientali (142): il degrado ambientale e il degrado umano ed etico sono, infatti, intimamente connessi (56).
Se finora si parlava di ecologia prevalentemente come lo “studio delle interrelazioni che intercorrono tra gli organismi e l’ambiente che li ospita” (così, per esempio, nell’enciclopedia Treccani), dove l’uomo è preso in considerazione in ragione dell’impatto ambientale conseguente al suo stile di vita, per cui il problema fondamentale – cito – è quello della valutazione del rapporto costo/beneficio nell’uso delle risorse naturali” (ivi), nella LS il problema fondamentale diventa l’interazione dei sistemi naturali con i sistemi sociali, dove la novità dell’enciclica sta non tanto nel descrivere tale rapporto, per altro già noto in ambito ecologico, quanto nell’averlo posto con forza al centro della questione. Così non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale (139) con la conseguenza che prendersi cura della natura include necessariamente combattere la povertà e restituire la dignità agli esclusi (ivi).
I gemiti di sorella terra, così si esprime il Papa, si uniscono ai gemiti degli abbandonati del mondo, con un lamento che reclama da noi un’altra rotta (53) e quando non si riconosce nella realtà l’importanza di un povero…difficilmente si sapranno ascoltare le grida della natura stessa (117).
Non è difficile constatare che l’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme, per cui non potremo affrontare adeguatamente il degrado ambientale, se non prestiamo attenzione alle cause che hanno attinenza con il degrado umano e sociale (48).
La crisi ecologica si presenta come un emergere o una manifestazione esterna della crisi etica, culturale e spirituale della modernità, di conseguenza non possiamo illuderci di risanare la nostra relazione con la natura e l’ambiente senza risanare tutte le relazioni umane fondamentali (119).
Purtroppo, però, manca una chiara consapevolezza dei problemi che colpiscono particolarmente gli esclusi. Essi sono la maggior parte del pianeta, – cito – miliardi di persone. Oggi sono menzionati nei dibattiti politici ed economici internazionali, ma per lo più sembra che i loro problemi si pongano come un’appendice, come una questione che si aggiunga quasi per obbligo o in maniera periferica, se non li si considera un mero danno collaterale. Di fatto, al momento dell’attuazione concreta, rimangono frequentemente all’ultimo posto… Ma oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri. (49)
Come si vede, la LS opera una dilatazione del campo di interesse dell’ecologia andando oltre le “interrelazioni che intercorrono tra gli organismi e l’ambiente che li ospita” fino ad inglobare in se stessa, come fattore determinante per comprendersi compiutamente, la giustizia sociale. Poiché tutto è in relazione, la cura autentica della nostra stessa vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri (70).
L’aver assunto questa congiunzione inscindibile tra l’ambiente e i poveri come criterio interpretativo prioritario della questione ecologica è probabilmente il principale contributo, per rispondere alla domanda del titolo, che il Papa offre sul modo nuovo di raccontare l’ambiente stesso.
Questa visione invita a compiere alcuni passaggi culturali, facilmente rintracciabili nel testo dell’enciclica che possiamo così riassumere:
- Primo passaggio: dalla sottovalutazione della questione ecologica alla consapevolezza dell’urgenza di agire subito con senso di responsabilità. Se guardiamo in modo superficiale, al di là di alcuni segni visibili di inquinamento e di degrado, sembra che le cose non siano tanto gravi e che il pianeta potrebbe rimanere per molto tempo nelle condizioni attuali. Questo comportamento evasivo ci serve per mantenere i nostri stili di vita, di produzione e di consumo. È il modo in cui l’essere umano si arrangia per alimentare tutti i vizi autodistruttivi: cercando di non vederli, lottando per non riconoscerli, rimandando le decisioni importanti, facendo come se nulla fosse (59). La protezione che la nostra casa comune esige da noi è invece urgente (13).
- Secondo passaggio: dalla tecnologia che si rapporta alle cose alla tecnologia che si rapporta alle persone.
Riflettendo sulla radice umana della crisi ecologica (Cap. III) ci si accorge che il problema fondamentale (106) è la globalizzazione del paradigma tecnocratico che consiste nel ritenere che la soluzione dei problemi che affliggono l’umanità si trovi nello sviluppo della tecnica. La tecnica però, quando è posta davanti alla realtà, tende a manipolarla dimenticando i limiti che essa stessa ha, per esempio avventandosi sulla natura per spremerla oltre il limite, sul falso presupposto che esista una quantità illimitata di energia e di mezzi utilizzabili…e che gli effetti negativi delle manipolazioni della natura possono essere facilmente assorbiti (106). La liberazione dal paradigma tecnocratico imperante è necessaria per riprendere il contatto oggettivo con la realtà e ciò può avvenire ponendo la tecnica di fronte alle persone più che alle cose, impegnandola a risolvere i problemi concreti degli altri, con lo scopo di aiutarli a vivere con più dignità e meno sofferenze (112). Qui essa trova il suo giusto equilibrio e un riparo dagli eccessi di onnipotenza. Insomma la tecnologia in mano all’uomo può facilmente fargli perdere il contatto con la realtà e farlo scivolare pericolosamente verso un delirio di onnipotenza: l’antidoto si trova nel fargli volgere lo sguardo verso le persone, specialmente le più indifese e bisognose di aiuto, perché ciò lo mantiene con i piedi per terra con grande vantaggio per l’ambiente.
- Da questo consegue il terzo passaggio: dall’attribuire valore alla potenza tecnologica all’attribuire valore alla fragilità.
Si tende a credere, infatti, che ogni acquisto di potenza sia semplicemente progresso, accrescimento di sicurezza, di utilità, di benessere, di forza vitale, di pienezza di valori (105)
Se però ci fermiamo a riflettere, riconosciamo facilmente la fragilità della natura e questo ci permette oggi di porre fine al mito moderno del progresso materiale illimitato. Un mondo fragile, con un essere umano al quale Dio ne affida la cura, interpella la nostra intelligenza per riconoscere come dovremmo orientare, coltivare e limitare il nostro potere (78).
San Francesco di Assisi, dal cui Cantico si è tratto il titolo dell’enciclica, è l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità…Egli manifestò un’attenzione particolare verso la creazione di Dio e verso i più poveri e abbandonati. (10)
- Infine il quarto passaggio va dal parlare di “problemi loro” al parlare di “problemi nostri” ovvero non possiamo più credere che ci possiamo salvare da soli solo perché siamo in possesso di più mezzi e di più ricchezze. D’ora in avanti è chiaro che possiamo solo salvarci insieme. Non si tratta di carità e, se vogliamo, nemmeno di filantropia: tutto è intimamente connesso al punto che salvare i poveri significa salvare se stessi. È la nuova etica della casa comune. Si potrebbe anzi dire che se finora la carità era una scelta libera oggi sta diventando una via obbligatoria per sopravvivere. È proprio l’ecologia ad insegnarci che la vita sulla terra consiste in un insieme armonico di organismi in uno spazio determinato che funziona come un sistema (140), l’ecosistema appunto, e che noi dipendiamo da tale sistema per la nostra esistenza. Occorre che consideriamo la famiglia umana a cui apparteniamo in certo modo come un ecosistema in cui la buona salute di ogni sua parte è necessaria per la sopravvivenza del tutto. Per esempio il riscaldamento del clima dovuto all’emissione eccessiva di gas serra causata dallo stile di vita dei paesi più sviluppati dà origine a migrazioni di animali e a fenomeni di siccità in vaste regioni del pianeta che spingono i poveri ad emigrare. Il loro arrivo nelle nostre città, anziché suscitare quel senso di fastidio per l’occupazione del nostro spazio vitale, dovrebbe servire a convincerci dell’urgenza di occuparci dei problemi che hanno causato la loro emigrazione perché non sono problemi loro ma nostri. Il famoso adagio: ”aiutiamoli a casa loro” diventa un “aiutiamoci a casa loro” perché il motivo per cui emigrano, in questo caso la crisi ambientale, è lo stesso che non assicura un futuro umanamente vivibile ai nostri figli. Tanto più riusciremo a sentirci prossimi gli uni agli altri, quanto più miglioreremo la nostra vita.
Per scaricare il testo in pdf: LS per docenti religione