IL CARD. LOJUDICE SUI MIGRANTI: «UN CENTRO DI ACCOGLIENZA IN OGNI DIOCESI DELLA TOSCANA»

Da due mesi presidente della Conferenza dei vescovi toscani, il cardinale Augusto Paolo Lojudice, 60 anni, arcivescovo di Siena e vescovo di Montepulciano, lancia un progetto comune a tutte le diocesi per creare «centri di bassa soglia dove accogliere gli immigrati, dar loro un tetto e anche il cibo». Benvenuti a Siena dove, anche sotto l’influsso di Lojudice che a Roma era chiamato il «prete dei rom», circoli di partito, Arci e Caritas hanno aperto i loro locali per ospitare i migranti pakistani sgombrati. Eminenza, a Siena si accoglie, a livello nazionale però avanza il modello Albania. Cosa ne pensa? «Non ho capito molto il senso di un investimento così cospicuo in un altro Paese, ma non voglio entrare nella bagarre politica». Qualcuno l’ha definita deportazione degli immigrati. «Gli esseri umani non si deportano. Purtroppo anche tra i cristiani ci sono molti che hanno un animo ostile nei confronti degli immigrati. Sostengono un “fuori tutti, non li vogliamo” e così via». Cosa risponde loro? «Che il Vangelo è agli antipodi. Chi la pensa così e si dice cristiano deve convertirsi. La conversione è lunga e faticosa, ma la fedeltà al Vangelo non conosce scorciatoie». La Chiesa cosa può fare? «La Chiesa, le diocesi (quelle che già non ne sono fornite), potrebbero individuare e adattare, tra le loro strutture, luoghi dove allestire centri di prima accoglienza: luoghi per evitare che ci sia qualcuno costretto a dormire all’aperto». In concreto? «Ho chiesto ai miei confratelli delle diocesi toscane di individuare e segnalare nei loro territori queste strutture; potremmo sviluppare un progetto comune per le nostre diocesi. Ci potrebbero essere luoghi che accolgono anche nuclei familiari per famiglie intere che si trovassero in quelle condizioni. A Roma il Papa durante il Giubileo della misericordia, chiese a tutte le parrocchie della sua diocesi di allestire uno spazio per poter accogliere una famiglia». Strutture di accoglienza per i migranti clandestini? «Non sono tutti clandestini. Chiariamo. Quando arrivano sul nostro territorio (in modi diversi: ad esempio i pakistani presenti a Siena vengono tutti dalla rotta balcanica) si recano in questura dove avviene il primo riconoscimento e vengono prese le impronte digitali. Da quel momento lo Stato sa che esistono, chi sono, da dove vengono. Purtroppo è lungo il tempo che passa perché un immigrato venga assegnato a un Cas, a un centro di accoglienza dove inizia il percorso di integrazione». E in quel tempo cosa fa l’immigrato? «È questo il problema: occorre trovare una soluzione per questo tempo che è una sorta di limbo. Ecco l’importanza di creare centri di accoglienza in ogni diocesi». Ci sono parrocchie già in prima fila, Vicofaro a Pistoia gestita da don Biancalani. «Non c’è dubbio che la sua sia una risposta di tipo profetico, però presenta anche non poche criticità. Credo che occorra dare al problema dell’immigrazione risposte più calibrate e quindi più durature e strutturate». Perplesso su Vicofaro? «No, no, colgo in quell’esperienza un segno profetico. Anche io a Siena ho una piccola Vicofaro gestita da don Doriano, un sacerdote dal cuore grande. Come don Massimo. Che conosco bene, però i numeri di Vicofaro sono eccessivi, poco gestibili». E l’integrazione? «Vedo due aspetti da curare con molta attenzione. Il primo è quello di conoscere più da vicino queste persone perché la conoscenza aiuta ad abbattere i pregiudizi». Il secondo aspetto? «Un efficace orientamento al lavoro. Infine occorre un grande impegno delle istituzioni». In che senso? «Se un immigrato accolto in un Cas riesce a trovare un lavoro che gli fa guadagnare circa 6 mila euro non ha più diritto ad essere accolto. Ma con quella cifra come fa a vivere con il costo degli affitti delle nostre città? Ecco perché insisto molto sul fatto che occorre uno sforzo congiunto tra istituzioni, chiesa e società civile, per capire come questa accoglienza possa essere veramente a misura di uomo e favorire una reale integrazione». (Intervista a firma di Mario Lancisi su Il Corriere Fiorentino del 14 novembre 2024 pagina 7).